IL MAGISTRATO DI SORVEGLIANZA
Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento di
sorveglianza relativo al reclamo presentato dal detenuto Leitner Max,
nato il 27 maggio 1958 in Bressanone, avverso il provvedimento
disciplinare adottato dalla direzione della casa circondariale di
Bologna in data 10 gennaio 1998.
Considerato in fatto
Leitner Max, ristretto presso la casa circondariale di Bologna in
esecuzione della pena di cui a provvedimento di cumulo espresso dalla
procura generale presso la Corte d'appello di Brescia in data 12
gennaio 1998, in data 14 gennaio 1998 presentava reclamo al
magistrato di sorveglianza ai sensi dell'art. 69, legge n. 354/1975
avverso l'ammonizione rivoltagli dal direttore della casa
circondariale di Bologna in data 10 gennaio 1998 per l'infrazione
dell'inosservanza di ordini prevista dall'art. 72, n. 17, d.P.R. n.
431/1976, contestata in data 24 dicembre 1997.
Il detenuto lamentava l'illegittimita' della sanzione disciplinare
inflittagli a causa del suo rifiuto ad effettuare nudo le flessioni
sulle gambe davanti agli agenti di polizia penitenziaria in sede di
perquisizione personale, sottolineando il carattere lesivo della
propria dignita' di tale operazione in contrasto con la prescrizione
di cui all'art. 34 o.p.
In sede istruttoria il magistrato di sorveglianza poneva al
Ministero di grazia e giustizia un quesito sulla legittimita' della
pratica delle flessioni sulle gambe richieste ai detenuti durante le
perquisizioni personali, al quale veniva risposto come suddetta
modalita' di perquisizione consenta, con la collaborazione del
detenuto ed in determinate occasioni che giustificano perquisizioni
piu' accurate, un controllo efficace e tempestivo, evitando inutili
ritardi o disservizi che potrebbero compromettere l'ordine e la
sicurezza all'interno dell'istituto o della stessa persona. Veniva
altresi' precisato che in presenza di rifiuto di collaborazione
l'amministrazione puo' far ricorso all'uso della forza ai sensi
dell'art. 41 o.p. per prevenire od impedire eventuali situazioni
pericolose per la sicurezza ed il prosieguo della perquisizione puo'
assumere natura di atto di p.g., disciplinata dalle norme del c.p.p.
La direzione della Casa circondariale di Bologna comunicava che le
perquisizioni personali nei confronti del detenuto Leitner erano
eseguite con modalita' particolarmente accurate secondo le
disposizioni contenute nella circolare n. 455241/1.1 del 28 gennaio
1982 (che appunto prevede le flessioni sulle gambe) a causa di una
precisa segnalazione proveniente dal Dipartimento
dell'amministrazione penitenziaria circa la pericolosita' del
predetto.
La difesa eccepiva l'illegittimita' della normativa in tema di
perquisizione personale di cui all'art.34 della legge n. 354/1975
rilevando il contrasto con l'art. 13 della Costituzione nella parte
in cui non prevede l'atto motivato dell'autorita' giudiziaria per
procedere a perquisizione personale nei confronti dei detenuti.
Il pubblico ministero concludeva per la rilevanza e la non
manifesta infondatezza della questione prospettata.
Considerato in diritto
L'eccezione della legittimita' costituzionale della norma citata e'
rilevante ai fini della definizione del presente procedimento di
reclamo ex art. 69 o.p., avente ad oggetto il sindacato sulle
condizioni di legittimo esercizio del potere disciplinare da parte
dell'amministrazione penitenziaria.
Nel caso di specie, infatti, trattandosi di un reclamo contro il
provvedimento disciplinare adottato dal direttore per sanzionare la
condotta del detenuto (rifiuto) ritenuta inosservante dell'ordine
legittimamente impartito dalla polizia penitenziaria in sede di
perquisizione personale, si ritiene determinante la soluzione della
questione di legittimita' costituzionale della disciplina legislativa
sulla quale si fonda il potere dell'amministrazione penitenziaria di
disporre ed effettuare le perquisizioni personali e di conseguenza di
sanzionare le condotte inosservanti degli ordini impartiti nel corso
di dette operazioni.
Il riconoscimento della illegittimita' della normativa di cui
all'art. 34 o.p., in definitiva, comporterebbe l'illegittimita'
dell'agire amministrativo e pertanto l'illegittimita' della sanzione
disciplinare inflitta nei confronti di una condotta non riconducibile
ad alcuna delle infrazioni tipizzate dall'art. 72, d.P.R. n. 431/1976
(non sarebbe una inosservanza di un ordine legittimo) e pertanto non
punibile.
L'eccezione di legittimita' prospettata appare non manifestamente
infondata per le motivazioni di seguito illustrate.
L'art. 34 della legge n. 354/1975 prevede il potere di perquisire
le persone detenute ovvero internate qualora sussistano motivi di
sicurezza e nel pieno rispetto della personalita'.
La formulazione letterale della norma e la sua costante
applicazione da parte dell'amministrazione penitenziaria prescinde
totalmente da un intervento dell'autorita' giudiziaria a garanzia
della legittimita' di tale restrizione della liberta' personale.
Il procedimento della perquisizione personale nei confronti delle
persone ristrette si svolge tutto in ambito amministrativo, in quanto
e' l'amministrazione penitenziaria che decide l'an (ravvisando la
sussistenza dei motivi di sicurezza), il quando (i casi in cui
procedere a perquisizione personale sono indicati nei regolamenti
interni di istituto ex art. 69, d.P.R. n. 431/1976) ed il quomodo
(con il limite del pieno rispetto della personalita').
Nel caso di specie difatti, su segnalazione riservata del
Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria la Direzione della
Casa circondariale di Bologna e' stata allertata circa il pericolo di
evasione da parte del detenuto Leitner, il quale, successivamente ad
un colloquio con i propri familiari e' stato sottoposto a rigida
perquisizione personale con ulteriore richiesta di effettuare
denudato flessioni sulle gambe per consentire un controllo accurato
circa la presenza di sostanza od oggetti celati nell'orefizio anale,
secondo le disposizioni della circolare ministeriale del 28 gennaio
1982 in materia di sicurezza negli istituti. E' l'amministrazione
penitenziaria, pertanto, che ha valutato la sussistenza dei motivi di
sicurezza a causa della ritenuta pericolosita' del Leitner e che ha
disposto la perquisizione decidendone le modalita'.
Ebbene, tali interventi sulla liberta' personale appaiono in aperto
contrasto con le disposizioni dettate dall'art. 13 Cost. che appunto,
nel sancire l'inviolabilita' della liberta' personale, non ammette
alcuna forma di perquisizione personale "se non per atto motivato
dell'autorita' giudiziaria" che potra' intervenire anche
successivamente l'adozione di provvedimenti provvisori da parte delle
autorita' di pubblica sicurezza in casi eccezionali di necessita' ed
urgenza, indicati tassativamente dalla legge.
La garanzia costituzionale sulla liberta' personale (che nella sua
accezione storicamente consolidata accolta anche dall'Assemblea
costituente e' il diritto al writ of habeas corpus), si esemplifica
pertanto nella determinazione dei presupposti e nei modi di esercizio
dei poteri che incidono in senso limitativo (arresto, ispezione,
perquisizione ed ogni altra forma di restrizione) con riferimento a
tutti i soggetti.
Non si comprende pertanto il motivo per cui i soggetti in
esecuzione di un titolo di detenzione siano per cio' solo esclusi da
tale garanzia, non ritenendosi affatto esaustivo ed assorbente il
divieto di violenza fisia e morale e di trattamenti contrari al senso
di umanita' espresso negli artt. 13, quarto comma e 27, terzo comma
Cost., che individua esclusivamente i limiti intollerabili dei poteri
coercitivi inerenti alle restrizioni della liberta' dovute
all'arresto. Ritenere il contrario significa considerare il potere di
perquisizione personale inerente alle modalita' di esecuzione del
titolo di detenzione, in grado pertanto di giustificare ogni
intervento sulla liberta' personale con il solo divieto dell'uso
della violenza e di trattamenti contrari al senso di umanita'.
In base a tale concezione, pertanto, l'ordinamento penitenziario
risulterebbe un "ordinamento separato" per il quale non valgono i
principi generali dell'ordinamento giuridico poiche' ispirato dalla
preoccupazione di dare il primato ad esigenze interne alla logica di
conservazione dell'istituzione, rispetto alle esigenze di garanzia e
di sviluppo della personalita' degli individui per i quali,
esclusivamente a causa della loro condizione di detenuti, non vale
nella sua interezza il meccanismo garantistico risultante dal
combinato disposto del secondo e del terzo comma dell'art. 13 Cost.
Ed il contrasto con i principi costituzionali di un tale
orientamento appare ancor piu' evidente nei casi di soggetti
ristretti in custodia cautelare per i quali non puo' nemmeno
sostenersi che i loro diritti di liberta' siano compressi dalla
sentenza definitiva di condanna, ma vige al contrario il principio
della presunzione di non colpevolezza e pertanto non si comprende la
ratio di tale trattamento differenziato rispetto al resto della
collettivita'.
Piu' in generale, invero, alla luce delle piu' recenti pronunce
della Corte costituzionale il soggetto detenuto, pur trovandosi in
situazione di limitazione della liberta' personale, rimane titolare
di un residio di liberta' incomprimibile ad libitum
dell'amministrazione penitenziaria.
Come e' stato sottolineato nelle sentenze nn. 349/1993, 410/1993,
332/1994, 351/1996, 376/1997, in tema di regime ex art. 41-bis o.p.,
l'esecuzione di una misura detentiva, pur costituendo una grave
limitazione della liberta' della persona, non ne comporta una totale
ed assoluta privazione poiche' conserva sempre un residuo di liberta'
che e' tanto piu' prezioso in quanto e' l'ultimo ambito nel quale
puo' espandersi la sua personalita'. Di conseguenza, sussiste un vero
e proprio limite di competenza funzionale dell'amministrazione
penitenziaria che puo' adottare solo i provvedimenti in ordine alle
modalita' di esecuzione del titolo di detenzione (il c.d. trattamento
penitenziario) dai quali sono certamente escluse le misure
suscettibili di introdurre ulteriori restrizioni, che implicano
certamente escluse le misure suscettibili di introdurre ulteriori
restrizioni, che implicano l'esercizio di una funzione
giurisdizionale, in ossequio al precetto di cui all'art. 13 Cost.
Dalla sentenza n. 212/1997 in tema di colloqui con il difensore,
inoltre, si evince come siano da ritenere illegittime tutte quelle
compressioni dei diritti fondamentali attinenti alla persona del
detenuto non disposte dalla legge a tutela di altri interessi
costituzionalmente garantiti, ma rimesse all'apprezzamento
discrezionale dell'autorita' amministrativa.
Si ritiene pertanto che dalla giurisprudenza della Corte
costituzionale, sommariamente esposta, emerga una chiara linea
interpretativa tesa alla valorizzazione dei diritti fondamentali ed
incomprimibili dell'individuo detenuto, il quale non e' destinatario
delle regole di un "ordinamento separato", ma continua a fruire dei
diritti di liberta', sia pure nel piu' ristretto ambito in cui viene
limitata la sua liberta' personale in termini di "sacrificio minimo".
Anche nella fase dell'esecuzione penitenziaria pertanto, si ritiene
che debbano operare i principi costituzionali stabiliti dall'art. 13
Cost.
Il problema e' sicuramente quello del bilanciamento dei principi
costituzionali concorrenti nel caso in esame.
In particolare, non puo' non evidenziarsi come a fronte della
posizione giuridica soggettiva del detenuto vi sia l'opposta esigenza
della difesa dell'ordine e della sicurezza negli istituti di pena,
dell'ordine giuridico e della collettivita' che giustifica
l'esercizio da parte dello Stato dei poteri di coazione personale
sugli individui assoggettati al regime di detenzione. Ebbene, la
Costituzione consente l'esercizio di poteri di urgenza per il
perseguimento di fini previsti o comunque non esclusi dal sistema
costituzionale che giustificano la temporanea sostituzione degli
organi di pubblica sicurezza a quelli giudiziari nell'adozione di
atti coercitivi della liberta' personale.
La disciplina costituzionale sulla liberta' personale, pertanto,
appare idonea a consentire la composizione dell'eventuale conflitto
tra esigenze confliggenti che possono emergere nelle diverse
fattispecie concrete.
L'art. 34 dell'ordinamento penitenziario, invece, nel sancire che
"i detenuti e gli internati possono essere sottoposti a perquisizione
personale per motivi di sicurezza" rimette l'esecuzione di tali
interventi sulla liberta' personale alla completa ed insindacabile
discrezionalita' dell'amministrazione penitenziaria, la quale, non
solo non necessita di alcun provvedimento giurisdizionale, ma non
deve motivare in alcun atto l'eventuale perquisizione effettuata ai
fini della convalida giudiziaria. Il capoverso della norma inoltre,
stabilendo che "la perquisizione personale deve essere effettuata nel
pieno rispetto della personalita'" presenta un contenuto che potrebbe
risultare una mera petizione di principio se si considera che la
perquisizione e' eseguita dalla stessa autorita' che la dispone, la
quale non deve renderne conto ad alcuno, ne' redigere alcun processo
verbale (v. art. 69, d.P.R. n. 431/1976); infine nessun estraneo
puo' parteciparvi, posto che il detenuto non puo' invocare la
presenza del difensore (come e' invece previsto dal c.p.p. all'art.
249).
D'altro lato, non puo' certamente negarsi che negli istituti di
pena sussista l'esigenza di interventi tempestivi "a sorpresa"
dettati dall'urgenza di prevenire situazioni pericolose per la
sicurezza dei soggetti ristretti e dell'istituto. Si ritiene tuttavia
che tali esigenze possano congruamente perseguirsi anche nel rispetto
del principio costituzionale che riserva alla competenza giudiziale
la formulazione di giudizi di disvalore sulla persona e l'adozione di
misure "degradanti".
In definitiva, l'attuale sistema delle perquisizioni personali di
cui all'art. 34 o.p. appare in contrasto con gli artt. 3, 13, secondo
e terzo comma, 24, primo e secondo comma, 97, primo comma, 113, primo
e secondo comma Cost.
Sotto un primo profilo, non prevedendo come necessario nessun
potere di controllo ex post da parte di un organo giudiziario circa
il rispetto dei presupposti e dei limiti normativamente prescritti,
l'art. 34 viola la previsione della riserva di giurisdizione in
materia di perquisizione personale sancita dall'art. 13 Cost.
L'esercizio di un controllo di convalida giudiziaria a perquisizione
avvenuta garantirebbe il bilanciamento dei contrapposti interessi in
gioco nel caso in esame (liberta' personale/sicurezza negli
istituti), evitando una compressione eccessiva della operativita'
minima del diritto di liberta' personale, poiche' consentirebbe da un
lato, interventi nell'immediatezza del fatto da parte
dell'amministrazione penitenziaria e dall'altro, una verifica del
rispetto delle condizioni normative da parte di un organo super
partes.
Il controllo ex post del giudice, inoltre, imporrebbe
all'amministrazione penitenziaria l'obbligo di argomentare le
motivazioni che hanno giusificato tale intervento sulla liberta'
personale con effetto deterrente circa eventuali abusi e vessazioni
nei confronti di detenuti "scomodi", a garanzia inoltre del diritto
di difesa di cui all'art. 24 Cost., che la Corte costituzionale con
la sentenza n. 212/1997 ha riconosciuto operativo anche durante lo
stato di detenzione nei limiti eventualmente disposti dalla legge a
tutela di altri interessi costituzionali.
L'attuale disciplina normativa che emerge dagli artt. 34 o.p. e 69,
d.P.R. n. 431/1976, invero, non prevede che l'amministrazione
penitenziaria rediga alcun atto ove illustrare i motivi e le
modalita' della perquisizione personale eseguita, il che non
consentirebbe al destinatario la possibilita' di tutelare in modo
adeguato i suoi diritti in via giurisdizionale, in violazione
pertanto degli artt. 24, primo e secondo comma, 97, primo comma e
113, primo e secondo comma Cost.
L'attuale lacuna normativa, infine, appare in contrasto con il
principio di ragionevolezza ex art. 3 Cost. per le disparita' di
trattamento che da tale scelta legislativa derivano. Piu'
precisamente, in altre situazioni in cui si richiedono interventi
preventivi nell'immediatezza del fatto, il legislatore ha previsto,
in conformita' al precetto costituzionale di cui all'art. 13,
perquisizioni effettuate dagli organi di pubblica sicurezza senza il
preventivo atto motivato dall'autorita' giudiziaria soggette alla
successiva convalida da parte del procuratore della Repubblica sulla
base del processo verbale redatto (cosi' infatti le disposizioni di
cui agli artt. 4, legge n. 152/1975 e 103, d.P.R.
n. 309/1990).
In questa prospettiva, non pare pertanto agevole giustificare la
scelta legislativa operata in materia di perquisizioni personali sui
detenuti i quali gia' si trovano in una situazione "svantaggiata" di
compressione del diritto di liberta' e pertanto richiederebbero
maggior attenzione da parte del legislatore circa le eventuali
ulteriori restrizioni esercitabili.
In definitiva, la previsione normativa di un obbligo in capo
all'amministrazione penitenziaria di redigere un atto congruamente
motivato sulla perquisizioine personale effettuata da sottoporre al
vaglio dell'autorita' giudiziaria realizzerebbe, in ossequio al
principio di ragionevolezza un equilibrato bilanciamento dei principi
costituzionali in gioco, rimuovendo l'attuale rigido meccanismo
legislativo che parer assicurare tutela ad uno soltanto di essi
(esigenza di sicurezza) con l'annullamento degli altri (diritto di
liberta' e di difesa).
Sulla base di quanto sopra evidenziato appare a questo magistrato
di sorveglianza non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 34, legge n. 354/1975 per
contrasto con gli art. 3, 13, secondo e terzo comma, 24, primo e
secondo comma, 97, primo comma, 113, primo e secondo comma Cost.
nella parte in cui non prevede che nel disporre le perquisizioni
personali l'amministrazione penitenziaria rediga atto motivato (circa
i presupposti e le modalita') da comunicare entro quarantotto ore
all'autorita' giudiziaria per la convalida.