N. 168
SENTENZA 27-28 APRILE 1994
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
Giudici: avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro
FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato
GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI,
dott. Cesare RUPERTO;
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 17 e 22 del
codice penale, promosso con ordinanza emessa il 2 dicembre 1993 dal
Tribunale per i minorenni delle Marche nel procedimento penale a
carico di Potenziani Giulio, iscritta al n. 797 del registro
ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 4, prima serie speciale, dell'anno 1994;
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
Udito nell'udienza pubblica del 12 aprile 1994 il Giudice relatore
Vincenzo Caianiello;
Udito l'Avvocato dello Stato Stefano Onufrio per il Presidente del
Consiglio dei Ministri;
Ritenuto in fatto
1. - Nel corso di un giudizio penale a carico di un minore,
imputato di un reato punibile con la pena dell'ergastolo (omicidio
volontario aggravato commesso in danno di ascendente), il Tribunale
per i minorenni delle Marche di Ancona ha sollevato questione di
legittimità costituzionale degli artt. 17 e 22 del codice penale,
nella parte in cui tali norme non escludono l'applicabilità della
pena dell'ergastolo nei riguardi del minorenne, in riferimento agli
artt. 10, primo comma, 27, terzo comma e 31, secondo comma, della
Costituzione.
2. - La proposizione della questione è preceduta, nel contesto
della stessa ordinanza, dalla reiezione di due eccezioni di
illegittimità costituzionale proposte dalle parti: l'una,
prospettata dalla difesa dell'imputato, riguardante la preclusione al
rito abbreviato in presenza di imputazione di reato punibile in
astratto con la pena dell'ergastolo; l'altra, prospettata dal
pubblico ministero, incentrata sulle disposizioni del codice penale
in tema di circostanze (artt. 69 e 70) nella parte in cui consentono
che anche la circostanza di cui all'art. 98 dello stesso codice entri
in gioco nel meccanismo di comparazione. Riguardo a quest'ultima
eccezione, in particolare, il giudice a quo richiama alcuni passaggi
della sentenza n. 140 del 1993 di questa Corte.
3. - Ciò premesso, il Tribunale rimettente ritiene di
individuare, piuttosto, un contrasto tra i parametri costituzionali
sopra citati e gli artt. 17 e 22 del codice penale (che
rispettivamente stabiliscono il "catalogo" delle pene e la
definizione normativa della pena perpetua), nella parte in cui detti
articoli non escludono l'applicabilità della pena dell'ergastolo nei
confronti dell'imputato minorenne; una omissione, questa, che, ad
avviso del giudice a quo, si porrebbe in contrasto:
a) con l'art. 10, primo comma, della Costituzione, per non
essersi l'ordinamento italiano "adeguato a numerose norme pattizie
del diritto internazionale vigente in materia" (norme che il
rimettente non specifica);
b) con l'art. 27, terzo comma, della Costituzione, per
compromissione dell'esigenza rieducativa e di trattamento pedagogico
del minore;
c) con l'art. 31, secondo comma, della Costituzione, per
violazione del precetto che impone la protezione dell'infanzia e
della gioventù.
4. - Non risolutivo, in questa prospettiva, risulterebbe
l'enunciato contenuto nella già richiamata sentenza n. 140 del 1993,
secondo cui il concreto atteggiarsi della realtà giudiziaria è " ..
indicativo di una sostanziale diversità di trattamento del minore
adeguata alla sua condizione, anche per quel che riguarda
l'irrogazione della massima pena ..", giacché il fatto che in
concreto i giudici minorili si astengano dall'applicare la pena
perpetua non elide la possibilità astratta di tale applicazione.
5. - La censura di illegittimità costituzionale muove proprio
dalla riconosciuta (sentenza n. 140/1993 cit.) esigenza "di un
sistema punitivo che per il minore risulti sempre più diversificato
sia sul piano sostanziale che su quello processuale ..": non si
comprende - afferma il rimettente - la previsione di un articolato
sistema normativo per il minore (dal processo penale minorile come
tale, agli istituti peculiari quale quello della "messa alla prova",
mirato ad accelerare l'uscita del giovane dal circuito penale; dalla
esigenza di specializzazione del giudizio attraverso la presenza dei
componenti esperti del collegio, al principio di adeguamento del
processo all'esigenza educativa e risocializzante ex art. 1 del
d.P.R. n. 448 del 1988) se poi, accanto a questo complesso di norme,
finalizzate tutte ad un trattamento spiccatamente differenziato in
ragione della specificità della condizione del minore, permane la
possibilità di irrogare la pena perpetua, possibilità contrastante
con le accennate esigenze di recupero, le quali, se sono richieste
per ogni condannato, diventano imprescindibili per un soggetto "in
evoluzione".
Tanto più - prosegue il giudice a quo - la previsione astratta
dell'ergastolo per i minori risulta illegittima ove si consideri che
l'art. 98 del codice penale configura l'età inferiore a diciotto
anni come una circostanza attenuante applicabile "di diritto .. e
prima di qualunque valutazione circa la sua (del minore) effettiva
capacità di intendere e volere"; se si è voluta questa diminuzione
ineludibile di pena, a maggior ragione non può avere senso il
mantenimento della pena perpetua.
6. - È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello
Stato.
Nell'atto di intervento, l'Avvocatura erariale ha fatto richiamo
alle considerazioni svolte nella già ricordata sentenza n. 140/1993
di questa Corte, ritenendo dette considerazioni esaustive, anche
riguardo ai profili della questione sollevati dal Tribunale per i
minorenni delle Marche, ed ha pertanto concluso per una declaratoria
di inammissibilità o di infondatezza della questione medesima,
ribadendo l'assunto nella discussione orale.
Considerato in diritto
1. - È stata sollevata questione di legittimità costituzionale
degli artt. 17 e 22 del codice penale, nella parte in cui non
escludono l'applicabilità della pena dell'ergastolo nei confronti
del minore degli anni diciotto.
Secondo il giudice rimettente le norme impugnate contrasterebbero:
a) con l'art. 10 della Costituzione, per non essersi l'ordinamento
giuridico italiano "adeguato a numerose norme pattizie del diritto
internazionale vigente in materia"; b) con l'art. 27, terzo comma,
della Costituzione, per compromissione della finalità rieducativa
della pena e del trattamento pedagogico e di risocializzazione,
peculiare per il minore; c) con l'art. 31, secondo comma, della
Costituzione, per violazione del precetto che impone la protezione
dell'infanzia e della gioventù.
2. - Preliminarmente deve essere disattesa l'eccezione di
inammissibilità, dedotta dall'Avvocatura generale dello Stato la
quale sostiene che la questione sarebbe identica a quella decisa nel
senso della inammissibilità dalla sentenza n. 140 del 1993.
In proposito osserva la Corte che a questa pronuncia essa pervenne
in presenza di una questione che era stata prospettata in termini
diversi, in quanto formavano allora oggetto di censura non solo
l'art. 22 del codice penale, cioè una delle norme ora denunciate,
ma, congiuntamente, nel loro complesso, le norme che disciplinano il
meccanismo concernente il concorso delle circostanze attenuanti con
le aggravanti. Per questa ragione la ricordata sentenza aveva
osservato che la questione poneva in tal modo un quesito di carattere
legislativo, dato che, investendo essa nel suo complesso la
disciplina in tema di concorso di circostanze, una pronuncia di
questa Corte, essendo vincolata alla prospettazione, sarebbe
risultata inadeguata, occorrendo, onde perseguire le finalità
correttive allora proposte, "un intervento normativo selettivo che
definisca le ipotesi in cui l'esonero dal bilanciamento di
circostanze possa avvenire; e ciò per evitare il prodursi di
effetti, eccedenti la finalità del quesito" che sarebbero potuti
derivare dalla pronuncia allora richiesta, "quando non si sia in
presenza di reati punibili con l'ergastolo, perché si andrebbe ad
incidere in generale nella disciplina della comparazione di
circostanze eterogenee in rapporto al minore".
L'ordinanza introduttiva del presente giudizio, come è già stato
ricordato, ha per oggetto esclusivo gli artt. 17 e 22 del codice
penale "nella parte in cui non prevedono l'esclusione dalla pena
perpetua per l'imputato minorenne" per cui la specificità della
pronuncia che viene richiesta non espone al rischio di effetti
eccedenti il fine auspicato. Anche se, come si vedrà in prosieguo,
la dichiarazione di incostituzionalità, in base ai poteri che
competono alla Corte ex art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87,
sarà estesa in via consequenziale ad una delle norme che regolano il
ricordato meccanismo, essa, proprio in virtù del suo carattere
consequenziale rispetto a quella principale che riguarda la
previsione dell'ergastolo per i minori, risulterà limitata a questo
ambito.
3. - Nel merito la questione, sollevata in riferimento all'art.
10, primo comma, della Costituzione, non può essere presa in
considerazione per la genericità dell'assunto della non conformità
della normativa denunciata "a numerose norme pattizie del diritto
internazionale vigente in materia", non essendo individuabili
dall'ordinanza di rinvio né le disposizioni né tantomeno i
contenuti normativi ai quali il rimettente intende fare richiamo.
D'altra parte, alla stregua della giurisprudenza di questa Corte
(sentt. n. 153 del 1987, n. 96 del 1982, n. 188 del 1980, n. 48 del
1979, n. 69 del 1976, n. 104 del 1969, n. 48 del 1967, n. 135 del
1963, n. 32 del 1960) che, con riguardo al parametro invocato,
delinea l'adeguamento automatico alle norme di diritto internazionale
generalmente riconosciute, in riferimento a princi'pi generali ovvero
a norme di carattere consuetudinario, è da rilevare che non è
neppure possibile rinvenire nella materia un principio generale o una
consuetudine, perché dal variegato panorama delle legislazioni degli
altri Stati più affini a quella del nostro Paese non risulta
l'esistenza di una di quelle "norme generalmente riconosciute", cui
fa riferimento l'art. 10, primo comma, della Costituzione, tenuto
conto della estrema diversità delle discipline che regolano il
regime delle pene più gravi nei vari Paesi. Esclusa dunque
l'idoneità di un così generico richiamo alle "norme pattizie" ai
fini del controllo di costituzionalità delle norme denunciate,
tuttavia la Corte ritiene opportuno, al fine di chiarire il
significato degli altri parametri costituzionali, analizzare e
verificare la conformità della nostra legislazione agli obblighi
assunti sul piano internazionale.
Tra le convenzioni sottoscritte dall'Italia che possono in qualche
modo avere riflessi sulla materia, può essere ricordata quella "per
la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali"
(Roma, 4 novembre 1950 e relativo Protocollo addizionale di Parigi
del 20 marzo 1952), ratificata con legge 4 agosto 1955, n. 848, la
quale, stabilendo all'art. 3 che "Nessuno può essere sottoposto a
torture o a pene inumane o degradanti", non sembra porre problemi
diversi da quelli che si presentano in riferimento all'art. 27, terzo
comma, della Costituzione, per cui essi saranno affrontati
successivamente, nell'ambito della questione sollevata sotto
quest'ultimo profilo.
Per quel che concerne poi le convenzioni che riguardano in
particolare la condizione dei minori, appare utile la menzione di
alcune importanti proposizioni in esse contenute che hanno riguardo
alla materia in esame. Così nella "Dichiarazione dei diritti del
fanciullo" della Società delle Nazioni, del 1924, le disposizioni
che maggiormente potrebbero riferirsi all'oggetto della questione
riguardano (punti 1 e 5) l'esigenza che "il fanciullo deve essere
messo in grado di svilupparsi normalmente, materialmente e
spiritualmente" e che "deve essere allevato nel sentimento che le sue
migliori qualità dovranno essere poste al servizio dei suoi
fratelli". Così ancora è da dirsi per la "Dichiarazione universale
dei diritti dell'uomo" (ONU, New York, 10 dicembre 1948), secondo cui
(punto 25) "la maternità e l'infanzia hanno diritto a speciali cure
ed assistenza"; per la "Dichiarazione dei diritti del fanciullo"
(ONU, New York, 20 novembre 1959), in cui si prevede (principio
secondo) che "il fanciullo deve beneficiare di una speciale
protezione e godere di possibilità e facilitazioni, in base alla
legge e ad altri provvedimenti, così da essere in grado di crescere
in modo sano e normale sul piano fisico, intellettuale, morale,
spirituale e sociale". Analoghi concetti sono espressi nelle "Regole
minime per l'amministrazione della giustizia minorile" (ONU, New
York, 29 novembre 1985; c.d. Regole di Pechino), le quali prevedono
(punto 3) che "un minore è un ragazzo o una persona che nel
rispettivo sistema legale può essere imputato per un reato, ma non
è penalmente responsabile come un adulto", che (punto 5) "il sistema
della giustizia minorile deve avere per obbiettivo la tutela del
giovane ed assicurare che la misura adottata nei confronti del
giovane sia proporzionale alle circostanze del reato o all'autore
dello stesso" ed ancora (punto 17) che, nell'ambito del processo, la
decisione "deve essere sempre proporzionata non soltanto alle
circostanze e alla gravità del reato, ma anche alle condizioni e ai
bisogni del soggetto che ha delinquito come anche ai bisogni della
società", che "la tutela del minore deve essere il criterio
determinante nella valutazione del suo caso" e che "la pena capitale
non è applicabile ai reati commessi da minori". Analogamente infine
è da dirsi per la Convenzione di New York "sui diritti del
fanciullo" del 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva
dall'Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176, che, oltre a
riaffermare i principi enunciati in precedenza, prescrive all'art. 37
che "Nessun fanciullo sia sottoposto a tortura o a pene o trattamenti
crudeli, inumani o degradanti. Né la pena capitale né
l'imprigionamento a vita senza possibilità di rilascio devono essere
decretati per reati commessi da persone di età inferiore a diciotto
anni"; ed inoltre che "la detenzione o l'imprigionamento di un
fanciullo devono essere effettuati in conformità con la legge,
costituire un provvedimento di ultima risorsa ed avere la durata più
breve possibile".
Come si vede si è in presenza di enunciazioni la cui attuazione
è affidata alla legislazione degli Stati che vi hanno aderito, e che
trovano nel nostro ordinamento il maggior punto di emersione
nell'art. 31 della Costituzione, che costituisce un altro dei
parametri invocati nell'ordinanza di rimessione. I problemi posti da
tali enunciazioni saranno perciò affrontati in prosieguo, in
occasione dell'esame della questione sollevata in riferimento a detto
parametro.
4. - Per quel che riguarda il riferimento all'art. 27, terzo
comma, della Costituzione, l'argomento, riferito alla generalità dei
soggetti, è stato già affrontato, in modo specifico, nella sentenza
n. 264 del 1974, che ha ritenuto non fondata la prospettazione del
contrasto tra l'ergastolo e il richiamato parametro, sul riflesso del
carattere polifunzionale della pena. Un connotato, questo, ribadito
anche di recente (sentenze n. 306/1993; n. 282/1989; n. 107/1980; n.
179/1973; n. 12/1966). Avuto riguardo al momento dinamico
dell'applicazione della pena, il precetto costituzionale appare
comunque soddisfatto dal legislatore che ha da tempo esteso
all'ergastolano non solo l'istituto della liberazione condizionale -
il cui governo, per effetto della sentenza di questa Corte n. 204 del
1974, è affidato alla competenza dell'autorità giudiziaria - che,
come sottolineato dalla sentenza n. 264 del 1974 citata, consente
l'effettivo reinserimento del condannato nel consorzio civile, ma
anche altre misure premiali che anticipano quel reinserimento come
effetto del suo sicuro ravvedimento, da comprovarsi dal giudice sulla
base non solo della buona condotta tenuta dal condannato stesso
durante l'esecuzione della pena bensì soprattutto dalla sua
partecipazione all'opera rieducativa; una disciplina positiva, quella
accennata, coerente con la necessità della verifica, in concreto,
della saldatura di quella divaricazione tra la astratta finalità
rieducativa e la relativa adesione del destinatario, che questa Corte
ha già individuato essere alla base della qualificazione
"tendenziale" della rieducazione.
D'altra parte la disciplina positiva specificamente riguardante i
minori accentua la portata applicativa degli accennati istituti che
si caratterizzano come concettualmente antagonisti rispetto alla
perpetuità della pena: sia, in negativo, stabilendosi eccezioni a
nuove e più rigorose previsioni limitatrici della fruibilità dei
"benefici" di ordinamento penitenziario (decreto-legge 13 maggio
1991, n. 152, convertito dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, il cui
art. 4, comma 4, esclude appunto l'applicazione delle norme
restrittive introdotte dal medesimo provvedimento nei riguardi dei
condannati minorenni all'epoca del reato); sia, in positivo,
scollegandosi l'applicazione della liberazione condizionale, per il
minore, dai limiti minimi di espiazione di pena previsti in via
generale dall'art. 176 del codice penale (art. 21 del regio
decreto-legge 20 luglio 1934, n. 1404, che consente di ammettere il
minore alla liberazione condizionale in qualunque momento
dell'esecuzione e qualunque sia la durata della pena inflitta).
Tutti gli anzidetti correttivi finiscono con l'incidere sulla
natura stessa della pena dell'ergastolo, che non è più quella
concepita alle sue origini dal codice penale del 1930. La previsione
astratta dell'ergastolo deve ormai essere inquadrata in quel tessuto
normativo che progressivamente ha finito per togliere ogni
significato al carattere della perpetuità che all'epoca
dell'emanazione del codice la connotava. Ma una volta soddisfatto con
detti correttivi il precetto costituzionale che assegna alla pena la
funzione rieducativa, diviene esclusivo compito del legislatore di
valutare, nelle scelte di politica criminale, se conservare o meno
l'ergastolo tra le sanzioni punitive astrattamente previste.
5.1. - La questione è invece fondata in riferimento all'art. 31
in relazione all'art. 27, terzo comma, della Costituzione.
Se l'art. 27, terzo comma, non espone di per sé a censura di
incostituzionalità la previsione della pena dell'ergastolo ed il
relativo carattere della perpetuità ai sensi degli artt. 17 e 22 del
codice penale, di esso deve darsi una lettura diversa allorché lo si
colleghi con l'art. 31 della Costituzione che impone una incisiva
diversificazione, rispetto al sistema punitivo generale, del
trattamento penalistico dei minorenni. Dall'art. 31 della
Costituzione, che prevede una speciale protezione per l'infanzia e la
gioventù e favorisce gli istituti necessari a tale scopo, deriva
l'incompatibilità della previsione dell'ergastolo per gli
infradiciottenni, perché accomuna, per tale particolare istituto di
indubbia gravità, nel medesimo contesto punitivo tutti i soggetti,
senza tener conto della particolare condizione minorile. Quest'ultima
condizione - come già sottolineato nella sentenza n. 140 del 1993,
ove si auspicava un intervento del legislatore sul punto della
comminatoria della pena dell'ergastolo anche per il minore - esige
"di diversificare il più possibile il trattamento del minore dalla
disciplina punitiva generale".
Ebbene, questa diversificazione, imposta dall'art. 31 della
Costituzione, letto anche alla luce degli obblighi enunciati nelle
ricordate convenzioni internazionali, le quali impegnano gli Stati
nel senso della particolare protezione dei minorenni, fa assumere
all'art. 27, terzo comma, della Costituzione, relativamente a questi
ultimi, un significato distinto da quello che, come si è visto nel
punto precedente, è riferibile alla generalità dei soggetti quanto
alla funzione rieducativa della pena. Questa funzione - data la
particolare attenzione che deve essere riservata, in ossequio
all'art. 31 della Costituzione, ai problemi educativi dei giovani -
per i soggetti minori di età è da considerarsi, se non esclusiva,
certamente preminente, per cui si manifesta un insanabile contrasto
fra essa e le norme denunciate - e cioè l'art. 17 del codice penale,
che elenca fra le pene che accedono ai reati quella dell'ergastolo, e
l'art. 22 del codice stesso che caratterizza questa pena con la
perpetuità - riferendosi entrambi alla generalità dei soggetti,
senza escludere i minori.
Né, rispetto al parametro in questione, possono risultare
strumenti idonei - nel senso della compatibilità tra Costituzione ed
ergastolo ai minori - quei pur peculiari istituti che si sono sopra
ricordati (punto 4) e che ampliano, specie per i minori, le
possibilità di accesso ai vari benefici che il corso dell'esecuzione
della pena consente; se per un verso, infatti, detti istituti si
iscrivono pur sempre in un tessuto normativo che rimane, in via
generale, indifferenziato quanto all'età dell'autore del reato - e
che è perciò urgente compito del legislatore riformulare, onde
ricondurlo ad armonia con le esigenze di diversificazione e
accentuata finalizzazione rieducativa: sentenza n. 125/1992 di questa
Corte - per altro verso resta ferma l'incidenza di tali misure
all'interno della vicenda dell'applicazione concreta della pena.
Quest'ultima caratterizzazione, se è sufficiente ad escludere il
contrasto con l'art. 27, terzo comma, della Costituzione in sé
considerato, si rivela inadeguata una volta che si abbia riguardo
alla prospettiva della spiccata protezione del minore quale espressa
nell'art. 31, secondo comma, della Costituzione, principio la cui
compresenza nell'ambito dei precetti costituzionali impone un
mutamento di segno al principio rieducativo immanente alla pena,
attribuendo a quest'ultima, proprio perché applicata nei confronti
di un soggetto ancora in formazione e alla ricerca della propria
identità, una connotazione educativa più che rieducativa, in
funzione del suo inserimento maturo nel consorzio sociale. Gli artt.
17 e 22 del codice penale, non escludendo perciò il minore dalla
previsione, sia pur astratta, dell'ergastolo, sono in contrasto con
l'art. 31, secondo comma, in relazione all'art. 27, terzo comma,
della Costituzione e di essi deve perciò essere dichiarata
l'illegittimità costituzionale nella parte in cui non prevedono tale
esclusione.
5.2. - L'idea che dalla previsione della pena dell'ergastolo
dovessero essere esclusi i minori faceva già parte del nostro
patrimonio legislativo, essendo l'esclusione espressamente sancita
dal codice Zanardelli del 1889 che, sul portato di codici
pre-unitari, rimasti sostanzialmente in vita fino all'avvento di
esso, prevedeva (sulla premessa della imputabilità piena a partire
dai quattordici anni) all'art. 55, per gli imputati di età fra i
quattordici ed i diciotto anni, la sostituzione di quella pena con la
reclusione da dodici a venti anni, ed all'art. 56, per gli imputati
di età fra i diciotto ed i ventuno anni, la sostituzione con la
reclusione da venticinque a trent'anni.
Quanto al codice penale del 1930, come è noto, anteriormente alla
riforma di cui al decreto-legge 11 aprile 1974, n. 99, convertito
dalla legge 7 giugno 1974, n. 220, l'art. 69, dopo aver previsto, nel
caso di concorso fra circostanze aggravanti ed attenuanti, la
possibilità di attribuire prevalenza alle une escludendo così le
altre e viceversa, o di ritenere la loro equivalenza con la
conseguenza della contemporanea eliminazione delle une o delle altre,
escludeva dall'applicazione di tali disposizioni le circostanze
inerenti alla persona del colpevole, stabilendo che in tal caso gli
aumenti e le diminuzioni di pena si operassero a norma dell'art. 63
dello stesso codice. L'esclusione delle circostanze inerenti alla
persona del colpevole dal giudizio di comparazione rendeva così
sempre applicabile la circostanza di cui all'art. 98 del codice
penale, il quale prevede che, qualunque sia la pena prevista per il
reato, essa per il minore degli anni diciotto è diminuita. Ciò
comportava necessariamente che, pur in presenza di circostanze
aggravanti, nei confronti del minore la pena dovesse essere comunque
diminuita, nella misura stabilita dalla disposizione speciale o, in
difetto, secondo il disposto del n. 2) dell'art. 65 citato,
rendendosi in questo modo inapplicabile la pena dell'ergastolo, salvo
il caso che sarà successivamente esaminato in relazione all'art. 73.
Con la già ricordata riforma dell'art. 69 del codice penale,
introdotta dall'art. 7 del richiamato decreto-legge n. 99 del 1974
convertito dalla legge n. 220 del 1974, riforma ispirata peraltro da
un intento di maggior favore per il reo, il giudizio di prevalenza o
di equivalenza fra le due categorie di circostanze è stato esteso
anche a quelle inerenti alla persona del colpevole, tra le quali la
giurisprudenza ha sempre compreso la diminuente della minore età,
per consentire, fra l'altro, specie per i reati contro il patrimonio,
la possibilità di far ritenere prevalente l'attenuante della minore
età ed escludere, quando essa ricorresse, tutte le aggravanti. Da
questa modifica - pur dettata da un intento di adeguatezza in
concreto della pena, rispetto alle rigidità (in eccesso) che si
erano verificate con particolare riguardo alla parallela esclusione
dal giudizio di bilanciamento delle circostanze aggravanti che
determinano la pena in modo indipendente da quella ordinaria del
reato o che stabiliscono una pena di specie diversa - è però
derivata una conseguenza deteriore. Una conseguenza forse non voluta
(perché gli ideatori della riforma non se l'erano probabilmente
prefigurata) ravvisabile nel caso - verificatosi proprio nel giudizio
a quo - del minore, imputato di un reato punibile con l'ergastolo, a
causa della presenza di circostanze aggravanti che comportano la pena
dell'ergastolo e che possono essere ritenute prevalenti e quindi
tali, ai sensi dell'art. 69 del codice penale, come risultante delle
modifiche del 1974, da escludere l'incidenza della attenuante
dell'art. 98 del codice penale, che viceversa in precedenza sarebbe
stata comunque applicabile, escludendo così la possibilità di
irrogazione di detta pena nei confronti del minore. È altresì da
rilevare che, come era anche prima della cennata riforma del 1974, la
previsione dell'ergastolo per il minore sussiste anche quale effetto
dell'applicazione dell'art. 73 del codice penale che, al secondo
comma, stabilisce in via generale (e quindi senza escludere il
minore) che, "quando concorrono più delitti per ciascuno dei quali
deve infliggersi la pena della reclusione non inferiore a
ventiquattro anni si applica l'ergastolo".
6. - Consequenzialmente alla declaratoria principale di
incostituzionalità, deve dunque essere dichiarata, in forza
dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l'illegittimità
costituzionale parziale di dette altre norme del codice penale, onde
apportarvi i necessari adattamenti idonei ad impedire che la
dichiarazione di incostituzionalità, nei sensi anzidetti, degli
artt. 17 e 22 del codice penale risulti inoperante, atteso il nesso
inscindibile che, come si è visto, intercorre tra le disposizioni in
argomento ai fini della determinazione della pena applicabile al
minorenne. Il carattere consequenziale della dichiarazione di
incostituzionalità che investe l'art. 69 del codice penale, va ad
incidere così sul meccanismo della comparazione delle circostanze ai
limitati effetti di quella principale cui è esclusivamente
finalizzata e non può dar luogo, come si è già rilevato in
premessa, a quegli effetti eccedenti le finalità del quesito
rilevati nella sentenza n. 140/1993.
L'art. 69 del codice penale, come si è rilevato
nell'illustrazione dei meccanismi in esso previsti per il caso di
concorso di circostanze eterogenee, determina la possibilità
dell'applicazione della pena dell'ergastolo anche per il minore, sia
qualora il giudizio di comparazione risulti nel senso della
prevalenza delle aggravanti che comportano la pena perpetua (come è
il caso del giudizio a quo), sia nell'ulteriore ipotesi di giudizio
di prevalenza o anche solo di equivalenza fra attenuanti ed
aggravanti, nel caso di reato punibile con la pena-base
dell'ergastolo, con una situazione in entrambi i casi ostativa
rispetto alla possibilità di applicazione al minore della attenuante
prevista dall'art. 98 del codice penale. La consequenziale pronuncia
di illegittimità costituzionale ex art. 27 della legge 11 marzo
1953, n. 87, dell'art. 69 del codice penale citato consente invece di
applicare, anche nei casi anzidetti, la diminuente suddetta.
La declaratoria consequenziale non può che operare, pertanto,
espungendo dal sistema la "parte" incostituzionale di detta
disciplina, attraverso l'esclusione dell'applicazione delle
disposizioni sul giudizio di bilanciamento con riguardo - e
limitatamente - alle due situazioni che si sono sopra dette. Non
sarebbe viceversa soluzione coerente né con i limiti della pronuncia
ex art. 27 della legge n. 87 del 1953 né più in generale con
l'esigenza di proporzione tra fatto-reato e pena una pronuncia che
giungesse ad affermare la prevalenza della circostanza prevista
dall'art. 98 del codice penale nei casi in cui è in gioco la
possibilità astratta di applicazione della pena dell'ergastolo al
minore, giacché una simile statuizione apporterebbe uno squilibrio
contrario, elidendo il peso e il significato di elementi accidentali
del reato che devono viceversa trovare riflesso nel concreto dosaggio
della pena, in base appunto alla regola ex art. 63 del codice penale.
7. - Per rendere la dichiarazione principale di
incostituzionalità pienamente operante è altresì necessario
dichiarare l'illegittimità in via consequenziale anche dell'art. 73,
secondo comma, del codice penale, data la contrarietà a Costituzione
del meccanismo sostitutivo ivi previsto, nel caso di imputato o
condannato minorenne.
Resta ovviamente affidato al giudice penale, a seguito della
dichiarazione di incostituzionalità consequenziale dell'art. 73
citato, di determinare la pena sostitutiva da applicarsi in luogo
dell'ergastolo, nel caso - estraneo al giudizio a quo - in cui si sia
in presenza del concorso di più delitti, commessi dal minore, per
ciascuno dei quali deve infliggersi la pena della reclusione non
inferiore a ventiquattro anni.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara l'illegittimità costituzionale degli artt. 17 e 22 del
codice penale nella parte in cui non escludono l'applicazione della
pena dell'ergastolo al minore imputabile;
Dichiara, in applicazione dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953,
n. 87:
a) l'illegittimità costituzionale dell'art. 69, quarto comma,
del codice penale, nella parte in cui prevede che nei confronti del
minore imputabile sia applicabile la disposizione del primo comma
dello stesso articolo 69 in caso di concorso tra la circostanza
attenuante di cui all'art. 98 del codice penale e una o più
circostanze aggravanti che comportano la pena dell'ergastolo, nonché
nella parte in cui prevede che nei confronti del minore stesso siano
applicabili le disposizioni del primo e del terzo comma del citato
art. 69, in caso di concorso tra la circostanza attenuante di cui
all'art. 98 del codice penale e una o più circostanze aggravanti che
accedono ad un reato per il quale è prevista la pena base
dell'ergastolo;
b) l'illegittimità costituzionale dell'art. 73, secondo comma,
del codice penale, nella parte in cui, in caso di concorso di più
delitti commessi da minore imputabile, per ciascuno dei quali deve
infliggersi la pena della reclusione non inferiore a ventiquattro
anni, prevede la pena dell'ergastolo.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 27 aprile 1994.
Il Presidente: CASAVOLA
Il redattore: CAIANIELLO
Il cancelliere: DI PAOLA
Depositata in cancelleria il 28 aprile 1994.
Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
|