Giandomenico Dodaro

Morire di contenzione nel reparto psichiatrico di un ospedale pubblico: la sentenza di primo grado sul caso Mastrogiovanni
Nota a Tribunale della Lucania, 30 ottobre 2012 (dep. 27 aprile 2013), Giud. Garzo
www.penalecontemporaneo.it 12 Giugno 2013

1. La sentenza che qui si pubblica conclude il primo grado di giudizio del processo sulla tragica morte del signor Francesco Mastrogiovanni, deceduto nel reparto psichiatrico dell'Ospedale "San Luca" di Vallo della Lucania dopo essere stato legato al letto ai quattro arti ininterrottamente per più di 3 giorni. Della vicenda si sono interessati numerosi media nazionali e l'associazione "A buon diritto" di Luigi Manconi[1].

2. Il decesso del signor Mastrogiovanni è l'epilogo di una sconcertante sequenza di gravissimi abusi. Ricoverato in regime di TSO, viene sottoposto a contenzione meccanica non per esigenze di cura, bensì per l'espletamento di un atto d'indagine richiesto delle forze dell'ordine. Richiesti dai Carabinieri di praticare il prelievo delle urine per accertare l'eventuale presenza di sostanze stupefacenti, i medici del Spdc danno disposizione agli infermieri di legare il paziente per vincerne la resistenza all'applicazione del catetere. Al signor Mastrogiovanni, che fino a quel momento non aveva manifestato alcun segno di violenza o aggressività verbale, viene applicata una contenzione molto invasiva con uso di fascette ai polsi e alle caviglie. Da quel momento, sedato ininterrottamente, è lasciato legato al letto per l'intero periodo del ricovero. Secondo i medici, l'agitazione psicomotoria del paziente, il quale avrebbe cercato a più riprese di tentare di liberarsi dalle cinghie con cui era bloccato, avrebbe sconsigliato di lasciarlo libero di muoversi sul letto a causa del rischio di cadute accidentali.

La procedura contenitiva è in palese violazione delle più elementari norme riconosciute dalle linee guida nazionali e internazionali esistenti in materia. Il paziente non viene mai scontenuto, né vengono operate manovre di de-escalation dell'aggressività per provare a liberarlo. È alimentato con soluzioni di fisiologica e di glucosio per via endovenosa (peraltro in misura insufficiente), senza che vanga effettuato alcun tentativo di alimentazione per via orale, se non una sola volta all'atto dell'ingresso in ospedale. Non è praticata alcuna cura o medicazione per alleviare le sofferenze legate allo strofinio delle fascette di contenzione sulla pelle e alle profonde escoriazioni presenti al polso sinistro. Le condizioni cliniche del paziente non sono adeguatamente monitorate, tant'è che i sanitari si accorgono del decesso dopo quasi 6 ore. La contenzione non è annotata in cartella clinica né nel registro delle contenzioni, di cui il reparto era peraltro sprovvisto; nemmeno è comunicata ai familiari, cui viene impedito di fare visita al parente.

3. Il Tribunale di Vallo della Lucania condanna il primario e altri cinque medici in servizio presso il Spdc, ai sensi degli artt. 110 e 605, commi 1 e 2, n. 2, cod. pen., per il delitto di sequestro di persona, realizzato mediante contenzione meccanica al letto di degenza in assenza di qualsiasi giustificazione sanitaria e, ai sensi degli artt. 110, 586 e 605 cod. pen., per aver cagionato la morte del paziente, come conseguenza del delitto di sequestro di persona, essendo risultata accertata l'incidenza causale nel decesso della contenzione fisica.

Condanna, altresì, tutti i medici, ai sensi degli artt. 110 e 479, commi 1 e 2, cod. pen. per il delitto di falso ideologico per aver formato una cartella clinica falsa, nella quale non davano atto che il paziente durante il ricovero veniva legato al letto con fasce di contenzione ai piedi e alle mani.

Motivo di interesse della sentenza dal punto di vista giuridico è che assolve gli infermieri dai delitti degli artt. 605 e 586 cod. pen., ai sensi dell'art. 530 cpv. cod.proc.pen., facendo operare a loro favore l'esimente dell'art. 51, comma 3, cod.pen. che esclude la responsabilità dell'esecutore di un ordine criminoso quando «per errore di fatto, abbia ritenuto di obbedire a un ordine legittimo». Secondo la tesi del giudice, tra medico e infermiere sussisterebbe un rapporto di soggezione a carattere pubblicistico, analogo a quelli cui si riferisce l'art. 51 del codice penale[2].

Premesso che la contenzione è atto di stretta competenza del medico, che è l'unico soggetto legittimato a ordinarla e a disporne l'interruzione, nel contesto assistenziale in cui si sono svolti i fatti, sarebbe insorta negli infermieri la convinzione che sussistesse la necessità di contenere il paziente, non solo perché ricoverato in regime di TSO, ma anche perché la scelta contenitiva è stata ratificata da parte di tutti i medici di volta in volta intervenuti. L'affidamento degli infermieri circa la doverosità dell'intervento contenitivo sarebbe derivato - secondo quanto emerge dalla sentenza - dalla loro inidonea formazione professionale in materia di contenzione. In buona sostanza, essi praticavano la contenzione nel solo rispetto delle indicazioni impartite dal sanitario di turno e, peraltro, come modalità abituale di gestione dei pazienti ricoverati nel reparto per sopperire alla carenza di personale medico e infermieristico.

Il problema che si pone nella valutazione dell'eventuale responsabilità penale degli infermieri non sembra essere, in realtà, quello dell'ipotetica applicabilità della scriminante dell'art. 51 cod. pen., che parrebbe esclusa dalla legge 10 luglio 2000, n. 251 che ha definitivamente abolito il principio di sottoposizione del personale infermieristico a quello medico. Piuttosto, il problema sembra riguardare la possibile rilevanza dell'ordine del medico sul piano della colpevolezza dell'infermiere per l'omicidio colposo del paziente, da un lato per aver concorso a realizzare una contenzione manifestamente criminosa per le ragioni per cui è stata disposta e per le modalità con cui è stata realizzata, e dall'altro per aver omesso di praticare le cure e i controlli sanitari che la situazione avrebbe richiesto.

4. Si trascina da tempo, in dottrina e in giurisprudenza, la questione se la contenzione sia un atto di per sé lecito in quanto autorizzato dalla legge oppure sia un atto illecito, vietato dalla legge penale (ad es. dagli artt. 610 o 605 cod.pen.), reso lecito dall'eventuale operare di una causa di giustificazione.

Secondo alcuni interpreti, l'operatore psichiatrico che leghi il paziente non può essere chiamato a rispondere del delitto di sequestro di persona, essendo l'atto stato compiuto nell'esercizio di un diritto o nell'adempimento di un dovere giuridico (art. 51 cod.pen.), discendente della 'posizione di garanzia' di cui è per legge investito.

Nel "caso Mastrogiovanni", il Tribunale di Vallo della Lucania disattende la tesi eccentrica del pubblico ministero che aveva inquadrato la giustificazione del potere coercitivo del medico nella scriminante dell'esercizio del diritto, aderendo alla tesi dell'adempimento del dovere. La contenzione meccanica del paziente al letto sarebbe da considerare nel nostro ordinamento attività di per sé non illecita, rectius attività terapeutica autorizzata dalla legge «ove ne esista la necessità e solo nel rispetto dei limiti stabiliti dalla lex artis». «Dal punto di vista normativo, il principale riferimento di legge è a tutt'oggi l'art. 60 R.D. n. 615/1909» recante il regolamento per l'esecuzione della legge manicomiale del 1904. Non essendo stato espressamente abrogato dall'art. 11 "Norme finali" della legge n. 180/1978, sarebbe ancora in vigore. Secondo tale norma, "nei manicomi debbono essere aboliti o ridotti ai casi assolutamente eccezionali i mezzi di contenzione degli infermi e non possono essere usati se non con l'autorizzazione scritta del direttore o di un medico dell'istituto. Tale autorizzazione deve indicare la natura del mezzo di contenzione".

Secondo altri interpreti, invece, legare il paziente sarebbe eccezionalmente giustificato entro i ristretti limiti della legittima difesa (art. 52 cod.pen.) o dello stato di necessità (art. 54 cod.pen.), a seconda che occorra impedire un'aggressione contro altre persone o un danno a sé.

La collocazione della giustificazione della contenzione meccanica nell'ambito dell'esercizio del diritto o dell'adempimento di un dovere giuridico oppure all'interno della disciplina delle c.d. situazioni di necessità, sottende differenti concezioni etiche della relazione medico-paziente.

Il richiamo della scriminante dell'adempimento del dovere e, soprattutto, di quella dell'esercizio del diritto struttura il rapporto di cura in senso disuguale. Esso intende affermare che, a certe condizioni, privare il paziente della libertà personale contenendolo meccanicamente sia contenuto tipico del potere o del dovere del medico.

L'inquadramento all'interno di situazioni di necessità è coerente, al contrario, a una concezione paritaria del rapporto di cura ed esplicita il concetto che gli operatori psichiatrici non sono autorizzati a privare il paziente di porzioni, seppur minime, di un bene, la libertà personale, riconosciuta tutte le persone dall'art. 13, co. 1. Cost., se non negli stessi limiti e alle stesse condizioni in cui ciò possa essere fatto da qualsiasi altro cittadino. Medico e paziente sono posti sullo stesso piano all'interno di una relazione umana improntata al rispetto dei valori di pari dignità e di uguale libertà delle persone. L'uso della coercizione non può che essere evenienza del tutto eccezionale cui si può fare ricorso unicamente nell'assoluta assenza di alternative e nel rispetto del limite della proporzione tra la limitazione della libertà del paziente e il danno da scongiurare[3].

5. Per tutte le attività che comportano l'esercizio di poteri coercitivi incidenti, sia pur a fin di bene, su libertà costituzionalmente tutelate si pone il problema di verificare se ed eventualmente a quali condizioni siano compatibili con i limiti che l'ordinamento giuridico pone a tutela di diritti fondamentali della persona. Nella giurisprudenza edita la questione se la contenzione meccanica del paziente soddisfi i principi costituzionali di garanzia, sostanziali e procedurali, in materia di interventi coercitivi non è stata compiutamente analizzata né, a quanto consta, nemmeno tematizzata.

Legare il paziente al letto di degenza trasmoda in maniera palese la misura della forza fisica normalmente accettabile nei rapporti tra privati e richiede, dal punto di vista della legittimità costituzionale, quanto meno, che la norma che ciò autorizzi sia prevista da una legge emanata dal Parlamento. Tale affermazione è vera indipendentemente dalla questione se la contenzione possa essere annoverata o meno tra gli atti propriamente terapeutici o genericamente sanitari.

Il nodo tuttora da sciogliere è se la contenzione meccanica sia subordinata, quale intervento sanitario coattivo, ai limiti dell'art. 32 Cost., per cui è sufficiente il rispetto di una c.d. riserva di legge relativa, o richieda, quale intervento coercitivo, il rispetto dei più stringenti limiti dell'art. 13 Cost., il quale in aggiunta a una riserva di legge - questa volta - assoluta, prevede una c.d. riserva di giurisdizione[4].


[1] Il video dell'intero ricovero, ripreso dalle telecamere del sistema di controllo interno del Spdc, è stato pubblicato integralmente sul sito Espressonline.

[2] Per un caso di estensione dell'ambito di operatività dell'art. 51 cod.pen. ai rapporti di lavoro a carattere privato, si veda Cass., sez. IV, 28 novembre 1975, con nota di T. Padovani, Osservazioni sulla rilevanza penale dell'ordine "privato", in Mass. giur. lav., 1977, p. 464 ss.

[3] Per una distesa trattazione della giustificazione e dei limiti della contenzione del paziente psichiatrico sia consentito il rinvio a G. Dodaro, Il problema della legittimità giuridica dell'uso della forza fisica o della contenzione meccanica nei confronti del paziente psichiatrico aggressivo o a rischio suicidario, in Rivista Italiana di Medicina Legale, 2011, p. 1483 ss.

Sul tema della 'posizione di garanzia' dello psichiatra sia consentito rinviare, ancora una volta, a G. Dodaro (a cura di), La posizione di garanzia degli operatori psichiatrici. Giurisprudenza e clinica a confronto, Milano, 2011.

In generale, per un confronto tra giuristi (costituzionalisti, penalisti e civilisti) e psichiatri sul tema della contenzione si veda il focus "Contenzione meccanica tra clinica e diritto", a cura di G. Dodaro e L. Ferrannini, pubblicato sulla Rivista Italiana di Medicina Legale, 2013, p. 167 ss.

[4] Per un'approfondita analisi della legittimità costituzionale della contenzione meccanica, cfr. il recente saggio di M. Massa, Diritti fondamentali e contenzione nelle emergenze psichiatriche, in Riv. It. Med. Leg., 2013, p. 179 ss. Si veda, altresì, D. Piccione, Umanesimo costituzionale e contenzione delle persone nell'ordinamento italiano, in www.personaedanno.it.