Corte di Cassazione, Sezione I Penale, Sentenza 28 marzo 2006 (dep. 10 aprile 2006), n.12638/2006 (1109/2006)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SILVESTRI Giovanni - Presidente

Dott. GIORDANO Umberto - Consigliere

Dott. CORRADINI Grazia - Consigliere

Dott. URBAN Giancarlo - Consigliere

Dott. CASSANO Margherita - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

1) M.C.G. nato il ..., avverso l'ordinanza del 14/06/2003 del Tribunale di Asti;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dr. CORRADINI GRAZIA;

lette le conclusioni del P.G. Dr. Ciampoli Luigi che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.

OSSERVA

Con ordinanza in data 12 luglio 2005 il Giudice monocratico del Tribunale di Asti, quale Giudice dell'esecuzione, investito dalla richiesta di M.C.G. di applicazione della disciplina del reato continuato in sede esecutiva, ai sensi dell'art. 671 c.p.p., in relazione a sei sentenze di condanna per reati contro il patrimonio commessi fra il 1999 ed il 2003, in ordine ai quali il condannato aveva dedotto il avere agito in esecuzione di un medesimo disegno criminoso consistente nella necessità di reperimento di denaro per il suo stato di tossicodipendente, ha riconosciuto la continuazione limitatamente alle sentenze di condanna del GUP di Asti del 9.11.2001 e del Tribunale di Alba del 18.3.2002 ed alle sentenze del GUP di Asti del 7.5.2002 e della Corte d'Appello di Torino del 18.2.2004, trattandosi, in tali casi, di reati commessi a brevissima distanza temporale e con modalità esecutive analoghe ed omogenee respingendo invece l'istanza per le altre sentenze di condanna.

Ha ritenuto infatti trattarsi in tali casi di attività delinquenziale protrattosi per lungo lasso di tempo, con significativi intervalli intercorsi fra la commissione dei vari reati e con il compimento di fattispecie di natura diversa commesse con modalità differenti, escludendo in particolare che si potesse individuare la unitarietà del disegno criminoso nello stato di tossicodipendenza addotto dal condannato.

Ha proposto ricorso per Cassazione la difesa del M. lamentando violazione di legge poiché la attività delinquenziale appariva sostanzialmente ininterrotta mentre la unitarietà del disegno criminoso doveva essere individuata nella necessità da parte del condannato di reperire il denaro quale mezzo per soddisfare i suoi bisogni di tossicodipendente.

Il Procuratore Generale presso questa Corte ha concluso per la inammissibilità del ricorso rilevando che la serie di reati commessi dal condannato appariva il frutto di una scelta di vita delinquenziale piuttosto che il frutto di un unitario disegno criminoso.

Il provvedimento impugnato, laddove ha escluso che lo stato di tossicodipendenza del condannato potesse avere rilievo ai fini della individuazione della unitarietà del disegno criminoso, in relazione alla applicazione dell'istituto del reato continuato invocato dal ricorrente in sede esecutiva, era in effetti del tutto in linea con una giurisprudenza da tempo consolidata di questa Corte per cui la unitarietà del disegno criminoso, richiesta dall'art. 81 c.p., comma 2, poteva essere ravvisata soltanto quando la decisione di commettere i vari reati fosse stata presa dall'agente in un momento precedente la consumazione del primo e fosse estesa a tutti gli altri, già programmati nelle loro linee generali, non potendo quindi rientrare nella previsione della norma in questione tutti quei fatti costituenti reato posti rispetto al primo in un rapporto di occasionalità, ovvero costituenti, con il primo, espressione di una abitualità o addirittura di un costume di vita, come è proprio dei tossicodipendenti i quali ricorrono abitualmente alla commissioni di reati per procurarsi i mezzi occorrenti per soddisfare i loro bisogni quotidiani di sostanze stupefacenti.

Si deve peraltro rilevare che è ora sopravvenuta la modificazione dell'art. 671 c.p.p., comma 1, per

effetto della L. 21 febbraio 2006, n. 49, art. 4 vicies, che ha convertito in legge con modificazioni il decreto legge 30 dicembre 2005, n. 272, aggiungendo, in fine, il seguente periodo: "Fra gli elementi che incidono sull'applicazione della disciplina del reato continuato vi è la consumazione di piu' reati in relazione allo stato di tossicodipendenza".

Tale disposizione, a norma dell'art. 1, comma 2, della legge di conversione citata, è entrata in vigore il giorno successivo alla pubblicazione della legge nella Gazzetta Ufficiale e cioè il 28 febbraio 2006, per cui si pone il problema che sia o meno applicabile al presente procedimento.

Questo Collegio ritiene in primo luogo che lo ius superveniens, in quanto relativo allo specifico punto della decisione impugnato dal ricorrente, sia applicabile anche d'ufficio e che sia inoltre immediatamente applicabile non solo ai procedimenti successivi alla entrata in vigore della legge citata, ma anche ai procedimenti in corso, quale quello in esame, qualora le censure portate all'esame della Corte di legittimità attengano specificamente alla incidenza dello stato di tossicodipendenza sulla disciplina del reato continuato.

L'istituto della continuazione è infatti un istituto di diritto sostanziale, come tale rientrante nella disciplina dell'art. 2 c.p., per cui si applica la disposizione più favorevole al reo, costituita chiaramente da quella introdotta dalla modifica legislativa dell'art. 671 c.p.p., che è diretta ad attenuare le conseguenze penali della condotta sanzionatoria nel caso di tossicodipendenti, sotto tale particolare aspetto ed anche con riguardo ad alcune misure alternative alla detenzione specificamente previste in relazione a programmi diretti a consentire il recupero di tossicodipendenti anche condannati a pene medio - alte.

E' vero che nel caso in esame si tratta di disciplina della continuazione applicata in sede esecutiva e cioè quando le condanne sono ormai definitive, però è stato lo stesso legislatore a fare venire meno il "mito" della intangibilità del giudicato attraverso la previsione dell'art. 671 c.p.p., cui pertanto può ritenersi applicabile la disciplina dell'art. 2 c.p. in analogia a quanto previsto per il caso di abolitio criminis, posto che, una volta ammesso che la pena può essere rideterminata in sede esecutiva per effetto della continuazione, non può negarsi natura sostanziale all'istituto che lo autorizza anche al di fuori del giudizio di cognizione.

Ciò posto, poiché la disposizione sopravvenuta prevede che "fra gli elementi che incidono sulla applicazione del reato continuato vi è la consumazione di più reati in relazione allo stato di tossicodipendenza", è evidente che di tale stato deve ora tenersi conto nella valutazione della sussistenza o meno della unitarietà del disegno criminoso.

Occorre rilevare in proposito che il legislatore non ha previsto che lo stato di tossicodipendenza sia di per sé elemento decisivo ai fini della valutazione della unitarietà del disegno criminoso, bensi' soltanto che tale stato deve essere valutato "fra gli elementi" che incidono sulla applicazione della suddetta disciplina, per cui il fatto che la ordinanza impugnata abbia rifiutato - correttamente, in base alla interpretazione consolidata della normativa vigente al momento in cui è stato adottato il provvedimento - di prendere in esame tale circostanza impone l'annullamento del provvedimento impugnato, a norma dell'art. 623 c.p.p., con rinvio allo stesso Giudice il quale dovrà riesaminare la istanza del condannato alla luce dello ius superveniens, con libertà di giudizio in ordine alla incidenza dello stato di tossicodipendenza sull'accertamento della unitarietà del disegno criminoso nell'ambito del complesso di tutti gli altri

elementi che ha già esaminato e che la giurisprudenza ha individuato come sintomatici della sussistenza della continuazione.

P.Q.M.

Annulla la ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Asti.

Così deciso in Roma, il 28 marzo 2006.

Depositato in Cancelleria il 10 aprile 2006