Vladimiro Zagrebelsky
Anche Londra condanna le nostre carceri
La Stampa, 20 marzo 2014

Anni orsono la Corte europea dei diritti umani, la Corte di Strasburgo, condannò l'Italia perché il sistema delle condanne pronunciate nei processi in contumacia era incompatibile con l'equità del processo. Il codice di procedura penale italiano, in effetti, consentiva di svolgere processi senza che l'accusato fosse efficacemente avvertito del processo stesso e della data dell'udienza.
Cosicché egli non vi poteva partecipare o validamente rinunciare. Con sorprendente rapidità il governo di allora introdusse una modifica al codice con un decreto legge, nella cui premessa si leggeva che era necessario e urgente adeguare il sistema alla sentenza della Corte europea. Era una piccola modifica, sufficiente però a correggere il più vistoso difetto.
La sorpresa per l'intervento del governo dipendeva dalla frequente indifferenza italiana rispetto agli obblighi assunti nei confronti delle regole europee. Mai prima di allora un decreto legge era stato emanato in circostanze simili. Perché allora il governo si determinò a farlo?
Dopo la sentenza della Corte europea, Germania e Spagna avevano preso a rifiutare di estradare in Italia i condannati in contumacia di cui l'Italia chiedeva la consegna. Rifiutavano, quei paesi e gli altri che certo li avrebbero imitati, per non rendersi complici di violazioni dell'equo processo. Con la Convenzione europea dei diritti umani, tutti gli Stati europei sono tra loro vincolati a garantire i diritti fondamentali.
Non si trattava allora del semplice, anche se dovuto, ossequio a una decisione giudiziaria, ma piuttosto della necessità di bloccarne le conseguenze, che iniziavano a manifestarsi nell'intero sistema europeo. Perché, pur con qualche difetto, un sistema europeo di protezione dei diritti fondamentali esiste e opera efficacemente. Lo schema si riproduce ora per la situazione delle carceri italiane. La Corte europea ha rilevato che in Italia il sovraffollamento sottopone un gran numero di detenuti a un trattamento inumano e degradante e ha imposto all'Italia di adeguare agli standard europei il numero dei detenuti rispetto alla capienza delle carceri; i giudici degli altri Stati europei constatano che estradando condannati in Italia questi rischiano un regime di detenzione incompatibile con il divieto di trattamenti inumani e, per non rendersi compartecipi della violazione, respingono la richiesta italiana.
È ciò che è avvenuto ora da parte di giudici inglesi, che hanno rifiutato di trasferire in Italia un condannato alla reclusione per reati di mafia. L'eventualità che ciò diventi prassi diffusa da parte di tutti i giudici europei e che quindi l'Italia non riesca più ad ottenere l'estradizione di condannati è ora più che prevedibile. Non solo, ma si è in attesa di una sentenza della Corte europea che dovrà dire se le condizioni in cui l'Italia tiene gli stranieri destinati all'espulsione siano compatibili con il divieto di trattamenti inumani.
Se la sentenza fosse negativa per l'Italia, come la Corte ha già deciso per la Grecia, gli stranieri in attesa della decisione sulla loro domanda di asilo non sarebbero più trasferiti in Italia e il quadro si completerebbe. Non per il debito pubblico o per lo spread, ma per l'inumanità dei suoi luoghi di detenzione l'Italia verrebbe cacciata dalla classe. Altro che dietro la lavagna, per richiamare una figura usata dal nostro presidente del Consiglio!
Tra due mesi e mezzo scade il termine indicato dalla Corte europea perché l'Italia adegui lo stato delle sue carceri. Qualche riforma legislativa e diversi aggiustamenti nella gestione carceraria hanno ridotto il numero dei detenuti e attenuato il problema, che però resta irrisolto. Il Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa, che sorveglia l'esecuzione delle sentenze della Corte europea, ha recentemente dichiarato che le misure prese sono insufficienti. Ulteriori condanne, pesanti anche sul piano economico oltre che morale, sono dietro l'angolo.
Ma governo e Parlamento sembrano pensare di aver fatto quello che era necessario. Non sarebbero necessari provvedimenti eccezionali, come l'indulto che anticiperebbe la liberazione dei detenuti che hanno scontato quasi interamente la loro pena o che sono stati condannati a pene brevi. Il messaggio che in tale senso il presidente della Repubblica ha inviato al Parlamento, ha trovato tardiva e distratta attenzione. Sono in vista le elezioni europee e prima o poi anche quelle politiche nazionali. Tanto basta per non voler irritare quell'elettorato di cui si cerca il voto. È un peccato. L'Italia non è solo uno dei paesi fondatori dell'Europa unita. L'Italia è anche stata il paese di Beccaria e dell'umanità delle pene.