Francesco Viganò

La relazione del Presidente Canzio all'inaugurazione dell'anno giudiziario 2014 nel distretto di Milano - 27 Gennaio 2014
www.penalecontemporaneo.it/ 27 gennaio 2014

1. Segnaliamo anche quest'anno la relazione del Presidente Canzio in occasione della cerimonia di inaugurazione dell'anno giudiziario del distretto di Milano, svoltasi lo scorso sabato 25 gennaio (clicca qui per accedere alla relazione e all'intervento orale del Presidente pubblicate sul sito della Corte d'appello di Milano).

Molti gli spunti presenti nella relazione, oltre a quelli subito ripresi dai principali quotidiani (cfr. ad es. l'articolo pubblicato lo stesso 25 gennaio su corriere.it) tra i quali ci limitiamo qui a segnalare i seguenti dati statistici relativi all'amministrazione della giustizia penale nel distretto milanese:

- i significativi progressi della Corte d'appello milanese nello smaltimento delle ancora numerose pendenze (quasi 15.000 nel 2013), grazie alla conferma - per il secondo anno consecutivo - di un rapporto virtuoso tra definizioni (quasi 9.000 nel corso dell'anno) e sopravvenienze (meno di 8.000);

- la quantità ancora preoccupante, peraltro, di declaratorie di prescrizione in grado d'appello (quasi 1.500, pari al 17% del totale delle pronunce) - dato peraltro sostanzialmente in linea con la media nazionale (cfr. Tomasello, Per una riforma della prescrizione: le opzioni sul tappeto, in questa Rivista, 10 dicembre 2013, p. 5), che conferma l'urgenza di pensare ad una riforma della prescrizione (cfr. anche infra);

- l'elevato grado di stabilità delle decisioni della Corte d'appello milanese (delle ca. 9.000 definizioni, ca. 2.600 sono oggetto di ricorsi in cassazione, di cui meno di 400 sono accolti: oltre il 95% delle decisioni della Corte d'appello milanese passa dunque in giudicato);

- un significativo aumento della produttività dei tribunali del distretto (che passano da da circa 30.500 a circa 33.500 definizioni complessivamente), cui non si accompagna tuttavia una riduzione delle pendenze (circa 22.000), che sono anzi in lieve aumento, a fronte di un corrisponente aumento delle sopravvenienze;

- una verosimile minore stabilità delle decisioni dei tribunali del distretto rispetto a quelle della Corte d'appello (dei circa 9.000 ricorsi esaminati dalla Corte d'appello contro sentenze di primo grado - comprensive peraltro anche delle sentenze dei gup - oltre 3.000 sfociano in altrettante sentenze di riforma integrale o parziale, cui devono essere sommate le circa 1.500 declaratorie di prescrizione in appello).

Nella parte conclusiva della propria relazione (p. 64 ss.), il Presidente denucia con forza la "neutralizzazione del diritto penale delle società commerciali e dei mercati finanziari" e "più in generale del diritto penale dell'impresa e dell'economia", determinata anche dalle "metamorfosi devastanti" subite dalle relative fattispecie incriminatrici; con la conseguenza che oggi "sono ben pochi i processi che si celebrano in materia, scarseggia l'innesco informativo dell'Autorità di vigilanza, manca un adeguato e coerente controllo di legalità". Situazione, questa, secondo Canzio inaccettabile: "la governance dell'economia e della finanza di un Paese come l'Italia non dovrebbe rinunciare a sicuri, razionali e forti presidi penalistici, da sistemare dentro mura processuali solidi e moderni".

Dopo avere ribadito la centralità della tutela della libertà della persona nel processo penale, contro ogni tendenza all'abuso della custodia cautelare e alla "immediata gogna mediatica, quasi in funzione di un'anticipata esecuzione della pena, a fronte dei tempi lunghi e incerti della giustizia e delle contrapposte, pressanti aspettative di sicurezza e di legalità dei cittadini", il Presidente esprime un giudizio complessivamente favorevole nei confronti di una serie di riforme in cantiere, quali in primo luogo la definizione del processo nei casi di particolare tenuità del fatto, con una disciplina che contemperi il necessario rispetto del principio di obbligatorietà dell'azione penale, mediante la configurazione tassativa dei presupposti di applicazione, la tutela della posizione procedimentale della persona offesa e il controllo del giudice; la sospensione del procedimento nei confronti degli imputati irreperibili; la riforma della prescrizione del reato, che dovrebbe a suo avviso prevedere almeno la sua sterilizzazione dopo la sentenza di condanna di primo grado, "assicurando poi tempi celeri e certi per le eventuali fasi di impugnazione, la cui ingiustificata violazione non resti priva di conseguenze"; e l'inammissibilità dell'appello per la manifesta infondatezza dei motivi di gravame, anche soltanto per l'esigenza di evitare disparità di trattamento rispetto al recente e analogo intervento riformatore che ha interessato l'appello in materia civile.



2. Due soli, brevissimi spunti di riflessione, stimolati dalla densa relazione del Presidente Canzio.

Il primo concerne la questione della stabilità delle sentenze di primo grado, che mi pare condizione imprescindibile per poter iniziare a ragionare su come ridurre il carico di lavoro delle corti d'appello - l'autentico 'buco nero' del sistema penale italiano, a fronte del generale aumento di produttività e dei tempi medi di pendenza dei tribunali e della Corte di cassazione anche su scala nazionale. E' evidente, infatti, che se oltre un terzo degli appelli viene accolto, è quanto meno difficile proporre riforme tendenti a limitare il loro numero: l'elevata percentuale di accoglimento - risponderebbe immediatamente la classe forense - dimostra che lo strumento è assolutamente prezioso per correggere le errate valutazioni dei giudici di primo grado.

La mia personale sensazione - che occorrerebbe peraltro corroborare sulla base di puntuali dati statistici - è che un numero consistente delle riforme in appello (circa 3.000 all'anno nel distretto milanese, come si è visto) concerna la mera determinazione della pena, a fronte di sperequazioni sanzionatorie per fatti di disvalore analogo nei diversi tribunali del distretto, e spesso riscontrabili in seno allo stesso ufficio giudiziario (quando non addirittura tra un gup e quello della porta accanto, come gli avvocati lamentano). Né tale circostanza deve stupire: a fronte di forbici edittali spesso assai ampie (si pensi soltanto alla disciplina in materia di stupefacenti), è del tutto naturale che ciascun giudice o ciascun collegio sviluppi una propria giurisprudenza, producendo decisioni tra loro coerenti, ma non ncessariamente congruenti con le prassi sanzionatori di altri giudici e di altri collegi.

Senza voler qui pensare alla possibile elaborazione di linee guida sulla commisurazione della pena da parte della stessa magistratura (possibilità cui converrebbe, peraltro, cominciare a riflettere seriamente anche nel nostro paese), v'è da chiedersi se davvero vi siano ostacoli organizzativi insuperabili all'instaurazione di una prassi che preveda l'automatica trasmissione in via informatica dell'esito dell'impugnazione al giudice che ha emesso il provvedimento, il quale oggi non ha di regola la minima idea della sorte della propria decisione. Un simile accorgimento favorirebbe certamente l'uniformazione in via informale delle prassi sanzionatorie quanto meno all'interno del distretto, riducendo le riforme in punto mera determinazione della pena e disincentivando conseguentemente gli appelli miranti a questo solo risultato. Con un effetto virtuoso, altresì, rispetto all'obiettivo di una migliore realizzazione del principio di parità di trattamento tra i condannati.

Il secondo rilievo concerne invece la riforma della prescrizione. Che quasi un quinto delle sentenze delle corti d'appello italiane sia constituito da declaratorie di prescrizione è semplicemente uno scandalo, in termini anzitutto di spreco di risorse pubbliche: il sistema giudiziario gira a vuoto, producendo una massa di lavoro (e di spese vive per il contribuente) durante le indagini, l'udienza preliminare, il giudizio di primo grado e un appello destinato a concludersi con un mesto "scusate, abbiamo scherzato".

La proposta formulata dal Presidente Canzio - la sterilizzazione della prescrizione con la sentenza di condanna di primo grado - corrisponde allo spirito della proposta formulata dalla commissione ministeriale istituita sul finire dalla scorsa legislatura dal Ministro Severino e presieduta dal Prof. Fiorella, la quale - pur senza bloccare definitivamente il decorso della prescrizione dopo la sentenza di condanna di primp grado - ne prevedeva tuttavia la sospensione per un biennio, accanto a una ulteriore sospensione annuale in caso di conferma della condanna da parte della Corte d'appello (clicca qui per scaricare la proposta e la relativa relazione dal sito del Ministero della giustizia).

Per un quandro articolato e completo delle proposte di riforma della prescrizione attualmente sul tappeto, cfr. il lavoro di Tomasello poc'anzi citato, nel quale si dà conto - in forma sintetica - anche della proposta che chi scrive aveva ritenuto di formulare in proposito, largamente ispirata alla soluzione tedesca e alla possibilità di individuare nella riduzione della pena un rimedio idoneo, e alternativo rispetto alla prescrizione, per l'irragionevole durata del processo penale (cfr. Viganò, Riflessioni de lege lata e ferenda su prescrizione e tutela della ragionevole durata del processo, in questa Rivista, 18 dicembre 2012 e in Dir. pen. cont. - Riv. trim., n. 3/2013, p. 18 ss.). Un rimedio - recentemente formalizzato anche in Spagna con una riforma legislativa che ha avallato la corrispondente prassi della giurisprudenza, e giudicato adeguato rispetto agli standard convenzionali dalla stessa Corte di Strasburgo, sul quale converrebbe a mio giudizio cominciare a riflettere seriamente in parallelo rispetto a ogni pensabile riforma della prescrizione del reato.