Intervento del Presidente della Repubblica
Giorgio Napolitano in occasione della visita del 6.2.2013 al carcere milanese di San Vittore

Il testo qui riprodotto è tratto dal sito del Quirinale (www.quirinale.it).

Signor Capo del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria,
Signori Direttori della Casa circondariale di San Vittore e delle Case di reclusione di Opera e Bollate,
Autorità, 
Ospiti dell' Istituto,

ringrazio il Capo del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, il Direttore della Casa Circondariale, la signora Ponge e il signor Fusano che mi hanno rivolto il loro saluto. Vi ringrazio per le parole con le quali mi avete accolto e per quanto avete voluto illustrarmi, ognuno per la sua parte, della quotidiana pesante realtà carceraria. Ma prima di entrare nel merito di alcuni aspetti della situazione a San Vittore e in generale, desidero fare una breve premessa. Ho più volte, e anche molto di recente, colto ogni occasione per denunciare l'insostenibilità della condizione delle carceri e di coloro che vi sono rinchiusi. E naturalmente avrei auspicato che i miei appelli fossero raccolti in misura maggiore di quanto non sia accaduto, ma vi posso assicurare che questo è accaduto per vari appelli del Presidente della Repubblica riguardanti anche altre questioni. Ho pensato tuttavia di dovere - raccogliendo l'invito rivoltomi a visitare San Vittore e, in particolare la sollecitazione che mi è venuta dal Consigliere del Consiglio Superiore della Magistratura, dottoressa Di Rosa - levare nuovamente la mia voce dopo che sul tema è intervenuta ancora la Corte Europea per i Diritti dell'Uomo con una condanna, mortificante come l'ho definita, per l'Italia.

Il Ministro della Giustizia, prof.ssa Paola Severino, ha fatto cosa giusta recandosi di persona a Strasburgo, per dar prova della nostra attenzione a quella pur dura decisione della Corte Europea, e prendendo la parola, all'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa lo scorso 24 gennaio. E lì ha anche presentato una sintesi delle iniziative da lei assunte in sede di governo e portate avanti con il conforto del Parlamento. Iniziative che meriterebbero di essere da qualsiasi parte politica valutate nel merito con serenità, senza pregiudiziali liquidatorie.

Il Presidente Tamburino ha analizzato attentamente in un suo scritto la sentenza della CEDU, considerando dovere "indefettibile e indifferibile", da parte nostra, darvi esecuzione. È in giuoco, come egli ha giustamente rilevato, "una delle condizioni essenziali dello Stato di diritto". Sono in giuoco - debbo dire nella mia responsabilità di Presidente della Repubblica - il prestigio e l'onore dell'Italia.

E quindi questa questione, e l'impegno inderogabile che ne discende, debbono essere ben presenti a tutte le forze politiche e ai cittadini-elettori anche nel momento in cui il nostro popolo è chiamato ad eleggere un nuovo Parlamento.
Sia chiaro : sulle strade da scegliere, sugli indirizzi da perseguire in materia di legislazione penale e di politica penitenziaria e anche sulle risorse da impiegare (non solo da tagliare), esistono posizioni diverse tra uno schieramento e l'altro, tra un partito e l'altro. E io oggi non intendo dire nulla che possa anche solo apparire un'interferenza nel dibattito in corso, destinato poi a riaprirsi nelle nuove assemblee parlamentari. Il confronto non potrà non tenere conto di tutti i punti di vista e le proposte, comprese quelle contenute nella relazione presentata nello scorso novembre dalla speciale Commissione istituita dal CSM sui problemi della magistratura di sorveglianza.

Ma di certo nessuna parte vorrà, anche in questo momento, negare la gravità dell'attuale realtà carceraria nel nostro paese. Ed è già da considerarsi importante, per le decisioni da prendere liberamente nel futuro questo comune riconoscimento obbiettivo della gravità e urgenza estrema della questione carceraria.

La violazione che ci si addebita dell'articolo 3 della Convenzione europea dei Diritti dell'Uomo è imperniata sul parametro dello "spazio vitale del detenuto" che non è oggi garantito nella nostra situazione penitenziaria. Si può aggiungere che il sovraffollamento degli istituti, le condizioni di vita degradanti che ne conseguono, i numerosi episodi di violenza e di autolesionismo - sintomo di una inaccettabile sofferenza esistenziale - le condotte di inquieta insofferenza o di triste indifferenza sempre più diffuse tra i reclusi, la mancata attuazione dunque delle regole penitenziarie europee confermano purtroppo la perdurante incapacità del nostro Stato a realizzare un sistema rispettoso del dettato dell'articolo 27 della Costituzione repubblicana sulla funzione rieducativa della pena e sul "senso di umanità" - espressione così bella introdotta in quell'articolo della Carta - cui debbono corrispondere i relativi trattamenti.

Conosco i dati relativi alle condizioni di sovraffollamento estreme riscontrabili qui a San Vittore. E conosco i dati complessivi sul piano nazionale. Tuttavia, senza indulgere ad alcun facile ottimismo, anche alla luce delle rilevazioni presentate in occasione della recente inaugurazione dell'anno giudiziario, sembra potersi registrare una certa inversione di tendenza conseguente alle misure adottate all'inizio del 2012, all'apertura di nuovi padiglioni, alla scelta di innovative misure gestionali. Naturalmente nonostante l'incremento di 3.065 posti carcere sul piano nazionale, il divario tra la capienza degli istituti e il numero dei detenuti resta intollerabilmente elevato. E egualmente, se sono da salutare i momenti positivi registratisi grazie alla sensibilità della società esterna e all'operosità dell'amministrazione, molti aspetti della condizione dei detenuti - uomini, e ancora di più donne - rimangono assai critici. Ho in proposito ascoltato le parole di Francesco Fusano e Marie Helene Ponge, e vorrei esprimere loro tutta la mia umana vicinanza. Non c'è dubbio che San Vittore costituisca, come ha detto nel suo intervento il Presidente Tamburrino, una sintesi di complessi problemi e di quotidiano disagio. E ciò può esser detto senza nulla togliere al valore dei progetti in corso o previsti, per i quali mi congratulo con il Direttore della Casa Circondariale, dott.ssa Gloria Manzelli. 

Questa visita e' un'occasione importante per rivolgere il giusto riconoscimento anche al lavoro diuturno svolto dagli uomini e dalla donne della polizia penitenziaria, che esercitano i loro compiti di custodia nella complessa realtà inframuraria con sensibilità, abnegazione e professionalità e desidero associarmi all'omaggio che ha tributato il Presidente Tamburrino alla memoria dei due caduti i cui figli sono oggi qui con noi. 

Analogo riconoscimento e apprezzamento va tributato a tutti quegli altri operatori, dai dirigenti degli istituti, agli assistenti sociali, agli educatori, agli psicologi, agli operatori dell'area sanitaria che profondono il loro impegno nel progettare e assecondare il percorso di rieducazione.

Ne' possono essere trascurate le risorse e le disponibilità del volontariato e del terzo settore, particolarmente attivi in ambiente carcerario, il cui ruolo merita dunque di essere valorizzato.

L'apertura del carcere alla istruzione, al lavoro, ai rapporti quotidiani con la comunità esterna, sono un inizio di giustizia, un passo indispensabile per consentire al condannato di raggiungere una più alta coscienza di sé, di generare la spinta morale verso la "inclusione" nella realtà esterna: solo in tal modo, l'aspirazione al reinserimento può non essere una utopia e al reo viene offerta la opportunità del recupero sociale.

Occorre peraltro prendere coscienza che la responsabilita' del trattamento e della risocializzazione non può essere affidata esclusivamente al personale dell'Amministrazione, ma deve estendersi e coinvolgere tutte le articolazioni sociali : dalla famiglia alla scuola, alle istituzioni religiose, alle associazioni di volontariato, al mondo del lavoro.
Al mondo imprenditoriale e alla cooperazione sociale - pur nell'attuale momento di crisi economica - va chiesto un adeguato supporto per i profili della formazione, dell'orientamento e dell'inserimento lavorativo.

Carissimi partecipanti a questa significativa cerimonia, a brevissima distanza dalla conclusione del mio mandato di Presidente, ho voluto essere tra voi con sentimenti di sincera e meditata condivisione di problemi e di umane sofferenze di cui lo Stato repubblicano deve farsi carico con quella determinazione, coerenza e continuità che finora purtroppo non ha mostrato. Sofferenze di uomini e donne qui reclusi e, direi poi in modo particolarissimo, di donne che sono mamme e per di più sono anche straniere. Confido che la mia testimonianza e le mie parole di oggi possano essere raccolte da chi mi succederà nelle funzioni di Capo dello Stato e da tutte le istituzioni rappresentative, a cominciare dal Parlamento che sta per essere eletto. 

Ancora un caloroso saluto ed augurio a voi tutti.