Vincenza Esposito

Sovraffollamento carceri: tra condanne dell’Europa e interventi normativi
www.altalex.com/ 15.10.2013

Il grado di civilizzazione di una società si misura dalle sue prigioni
(Dostoevskij, Memorie da una casa di morti)

“Le nostre carceri non sono degne di un paese civile” [1]

“E’ da considerare importante il comune riconoscimento obiettivo della gravità ed estrema urgenza della questione carceraria, gli interventi non sono rinviabili” [2]

Tali affermazioni forti ed autorevoli che spingono all’adozione “di decisioni non più procrastinabili per il superamento di una realtà degradante per i detenuti e per la stessa Polizia Penitenziaria” [3] fan seguito l’ennesimo interessamento della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo la cui sentenza depositata in data 8 gennaio 2013 rappresenta una pesante condanna nei confronti dello Stato italiano per la riconosciuta incompatibilità dell’attuale sistema carcerario italiano con l’art. 3 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali in riferimento alla proibizione di trattamenti inumani e degradanti[4]. Poiché il sovraffollamento delle carceri italiane è definito un problema “strutturale e sistemico” anche in considerazione dell’elevato numero di ricorsi pendenti, unitamente alla condanna monetaria, Strasburgo, pur non potendo determinare la politica penale degli stati membri, ha invitato l’Italia ad adottare entro un anno ogni utile provvedimento per rimediare alla situazione carceraria ed esortato i giudici a far un maggior uso delle misure alternative alla detenzione.

Dal rapporto sulla popolazione carceraria pubblicato lo scorso mese di maggio dal Consiglio d’Europa[5], l’Italia, dopo la Serbia e la Grecia è il paese con maggior sovraffollamento nelle carceri dove per ogni 100 posti ci sono 147 detenuti ed è al terzo posto per numero assoluto di detenuti in attesa di giudizio, dopo Ucraina e Turchia. Alle inaccettabili condizioni di vita, inoltre, corrisponde anche un elevato costo di gestione del settore, atteso che l’Italia nel 2010, escludendo le spese mediche, ha speso 111,68 euro al giorno per ogni detenuto a fronte ed es. della Germania e della Francia che spendono rispettivamente 109,38 e 69,12 euro comprendendo anche le spese mediche.

Il ripensamento del sistema penitenziario e sanzionatorio, tuttavia, rappresenta da sempre una impresa gravosa per i governi che si sono a tanto cimentati e ciò per la complessità delle problematiche sottese non disgiunta dalla condivisa necessità di operare interventi su molteplici fronti; tutti fattori e circostanze che han reso di fatto “le strutture carcerarie caratterizzate da una

logica interna che ha loro consentito di riproporsi pressoché immutata dall’unità di Italia sino ai nostri tempi, malgrado i trapassi istituzionali e di regime politico “ [6].

Non è possibile, inoltre, concepire un sistema penitenziario senza focalizzare l’attenzione sulla funzione della pena e, di conseguenza, sull’intera “architettura” funzionale delle carceri. Partendo dall’osservazione della “naturale” afflittività del castigo con il quale si punisce in primo luogo quia peccatum est [7] ed a seguire sed ne peccetur [8] si è approdato al finalismo rieducativo della pena nell’ottica del ravvedimento del reo “restituendo” lo stesso alla società in un clima di rinnovata fiducia tra il condannato che ha introitato quei valori e quelle regole prima violate e la società civile che si mostra con lui clemente nell’ottica di un progressivo e pacifico progresso civile [9]. Nelle più specifiche vicende nazionali, con l’entrata in vigore della Costituzione, l’idea della “rieducazione” assurge a principio di rango costituzionale [10] da intendersi quale riattivazione dei valori fondamentali della vita sociale[11] da conseguire attraverso un trattamento adeguato e un contesto di relazioni continue con la società esterna.

Il carcere, pertanto, non può esser ritenuto più un mero deposito di corpi da sorvegliare ma deve tendere a divenire un “brano della città” allo scopo di ripetere una parte della struttura urbana [12] mentre l’esecuzione della pena detentiva deve esser organizzata anche in modo da prevedere possibilità trattamentali individuali e relazioni continue con la società esterna.

L’ordinamento penitenziario [13], infatti, considera quali elementi rieducativi del trattamento il lavoro, l’istruzione, le attività culturali, ricreative, sportive, i contatti con la famiglia[14] onde osservare, con il supporto di professionisti esperti di psicologia, pedagogia etc. i progressi conseguiti dal detenuto [15] proprio in quel contesto “sociale” prima violato. L’idea rieducativa, inoltre, dovrà guidare il giudice nell’individuare sanzioni penali diverse da quella meramente detentiva che attraverso una più flessibile e individuale irrogazione meglio possano realizzare le finalità costituzionalmente indicate[16].

Inoltre, anche nelle ipotesi in cui la sanzione afflittiva debba esser espiata nel carcere, l’esperienza dimostra che le situazioni carcerarie ove è pianificata una “gestione attiva” del recluso con l’impegno dei detenuti in adeguati luoghi comuni con il lavoro, la lettura [17], etc. registrano un minore impego di risorse economiche rispetto ad un “carcere immobile e compresso” [18] ed al contempo un minore tasso di recidiva [19]. Il carcere di Halden [20] nel sud della Norvegia, inaugurato nell’aprile 2010 sorprende per l’armonia architettonica esterna cui è speculare quella lavorativa interna dei detenuti e del personale preposto alla vigilanza ottenendo risultati migliori ad un costo più basso per la società sia in termini di investimento che di tutela collettiva[21].

Occorre, ad ogni buon fine, evidenziare che la natura polifunzionale della pena non hai mai smesso di far oscillare il pendolo delle scelte politico-criminologiche privilegiandosi ora trattamenti extramurari volti a scongiurare il “contagio carcerario” [22] ora le esigenze di tutela generale [23] conducendo ad un continuo confronto e dibattito tra ciò che il carcere e la pena dovrebbero essere e ciò che sono.

In tale ciclico andamento, con c.d. “decreto svuota carceri” [24] l’attuale Governo ha inteso fornire una urgente risposta alla condanna europea mirando a concretizzare, “pur senza stravolgere l’attuale ordinamento, un significativo alleggerimento del nostro sistema penitenziario” [25] individuando una doppia linea di intervento che va dalla previsione di misure dirette ad incidere strutturalmente sui flussi carcerari (ingressi ed uscite dalla detenzione) al rafforzamento delle opportunità trattamentali per i detenuti meno pericolosi.

Quanto alla prima problematica, il decreto ha prevalentemente inciso sull’assetto sanzionatorio vigente attraverso la modifica:

degli artt. 280 e 274 c.p.p. e, pertanto, la custodia cautelare in carcere può esser disposta solo per i delitti puniti con pena non inferiore nel massimo ai cinque anni;
dell’art. 656 c.p.p. rilanciandosi a più ampio spettro la c.d. “liberazione anticipata” e, pertanto, ad eccezione dei condannati in via definitiva per i reati contemplati dall’art. 4 bis dell’ordinamento penitenziario [26] ovvero già sottoposti a custodia cautelare, i condannati possono attendere “da liberi” la decisione sulla richiesta di misura alternativa da parte del tribunale di sorveglianza, al quale il pm avrà rimesso gli atti valutando positivamente la ricorrenza dei presupposti di legge per concedere la liberazione anticipata[27];
dell’art. 73, DPR 9.10.1990 n. 309, con l’introduzione del comma 5 ter, ampliando per il giudice la possibilità di ricorrere, al momento della condanna, ad una soluzione alternativa al carcere per reati commessi dai tossicodipendenti;
dell’art. 47 ter dell’ordinamento penitenziario e, pertanto, nell’ottica di incrementare i flussi in uscita dal carcere, sono stati eliminati automatismi ancorati a presunzioni di astratta pericolosità con conseguente estensione degli spazi di applicabilità di misure alternative (soprattutto la c.d. detenzione domiciliare generica) a favore di categorie di soggetti che prima ne rimanevano esclusi come i recidivi di piccoli reati.
Nelle intenzioni del Governo, quindi, il decreto in argomento è preordinato, pur senza abdicare alle ineludibili attese di difesa sociale, ad una incisiva azione di deflazione penitenziaria attraverso la rimodulazione dei flussi carcerari in entrata ed in uscita che dovrebbe condurre alla “liberazione” di circa 10 mila posti letto entro il 2016.

Quanto alla seconda problematica, il decreto in argomento ha previsto, introducendo il comma 4 ter all’art. 21 dell’ordinamento penitenziario[28], nuove opportunità di applicazione dell’istituto del c.d. lavoro di pubblica utilità. Il decreto, infatti, estende le prestazioni di lavoro di detenuti e internati permettendo la partecipazione a titolo gratuito e volontario a progetti di pubblica utilità presso lo Stato, enti locali e organizzazioni di assistenza sociale e sanitaria. E’ prevista anche l’attività a sostegno delle famiglie delle vittime. Ai lavori di pubblica utilità potranno ora accedere anche tossicodipendenti condannati per reati connessi di basso spessore criminale. Per favorire il reinserimento lavorativo e’ ampliata, infine, la concessione di sgravi fiscali, già previsti con la legge Smuraglia[29], per le imprese che assumono detenuti o ex detenuti.

Infine, nella consapevolezza della necessità di interventi di ampio raggio nella realizzazione di nuovi istituti penitenziari e del miglioramento strutturale di quelli già esistenti[30], con il decreto in argomento si è consolidato la figura del Commissario Straordinario per le carceri i cui ridefiniti compiti dovrebbero consentire il conseguimento degli obiettivi prefissati entro il più breve tempo possibile.

Come sempre, sono da riscontrarsi discordanti commenti da parte degli esponenti politici e delle associazioni operanti o vicine alla realtà carceraria.

Le voci critiche ritengono che il provvedimento vada a “rimettere in circolazione migliaia di detenuti”[31] ovvero le misure previste sono insufficienti [32] potendo in realtà “servire a poco” [33], permanendo, di fatto, una situazione esplosiva che preluderebbe in realtà ad un piano di edilizia carceraria con conseguenti forti interessamenti economici [34]. E su tali spunti critici si innesta anche il dibattito sul rapporto esistente tra popolazione carceraria e posti disponibili nelle strutture penitenziarie. V’è, infatti, chi ritiene che i posti effettivamente disponibili presso le strutture carcerarie siano in realtà superiori ai dati ufficiali poiché alcuni istituti sono chiusi ovvero inutilizzabili e, pertanto, a fronte dei circa 70 mila attuali detenuti sarebbe sufficiente la costruzione di un sol carcere ed il recupero delle strutture esistenti e non utilizzate per aumentare la capienza effettivamente disponibile a circa 69 mila posti[35]. Infine, non manca chi afferma che il decreto, in realtà, rappresenti un indulto mascherato[36].

V’è da ricordare come critiche [37], che pur parrebbero in parte accolte e superate dall’attuale decreto, non erano mancate al varo della legge cd. “sfolla carceri” [38] il cui fulcro era da rinvenirsi nella possibilità ( per altro non automatica) di scontare presso la propria abitazione o in altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza e accoglienza, la pena detentiva (anche residua di pena maggiore) non superiore ad un anno [39] .

In realtà, se par vero che il decreto “svuota carceri” lascerebbe irrisolte alcune problematiche emerse anche a seguito del provvedimento [40] che lo ha preceduto, tende ad apparire eccessivo l’allarmismo diffuso per cui all’allargamento delle misure alternative alla detenzione conseguirebbe la presenza in strada di assassini, stupratori, pedofili etc. “la preoccupazione principale non è della sicurezza dei cittadini… ma sulla reale utilità del decreto che ha come primo effetto quello di determinare un insostenibile aggravio del lavoro delle Forze dell’Ordine” [41] dovuto ai necessari controlli che con gli attuali organici e le ristrettezza di risorse strumentali e finanziarie “non saranno facilmente praticabili”[42]. Ciò perché a beneficiare maggiormente di tale provvedimento sono, verosimilmente i “piccoli” delinquenti le cui statistiche di recupero sono impietose atteso che “la maggior parte di loro tornati in liberà, delinque nuovamente e non sembra facile per loro un reinserimento sociale”[43] .

Il Governo difende il suo operato invitando a cessare con le “ semplificazioni manichee: non solo il decreto non rappresenta una resa di fronte al crimine ma nemmeno impedirà, soprattutto nelle inchieste di mafia, di arrestare sospettati di reati apparentemente minori ma quasi sempre connessi con delitti per i quali la custodia resta tal quale a oggi”[44]. Il decreto, quindi, non farà venir meno la sicurezza dei cittadini né spunterà le armi agli inquirenti e “rappresenta una vera e propria misura strutturale, un punto di equilibrio tra esigenze di sicurezza, certezza della pena e recupero del condannato; così come integrato ed arricchito, sarà capace di incidere sostanzialmente e positivamente sull’ordinamento penitenziario”.

A sommesso parere di chi scrive, è opportuno focalizzare l’attenzione sul rinnovato interesse legislativo nei confronti del lavoro di pubblica utilità atteso che il decreto in esame allarga la platea dei reati che possono esser scontati con tale modalità, in linea con le raccomandazioni espresse anche dal Consiglio d’Europa[45] .

Introdotto dall’art. 73, co. 5 bis, D.P.R. 309/1990, il lavoro di pubblica utilità ha poi trovato una disciplina di carattere generale nell’art. 54[46] D.Lgs. n. 274/2000, contenente le disposizioni sulla competenze penale del Giudice di Pace. A seguire, c.d. Codice della Strada [47], l’art. 2 della legge 145 del 2004 [48], l’art. 1 bis lett. a del d.l. n. 122/1993 [49], l’art. 6, co. 7 della L. n. 401/1989 [50] hanno previsto ulteriori e sempre più ampie ipotesi di praticabilità di tale misura “paradetentiva”.

Inoltre, con Decreto del Ministero della Giustizia [51] son state definite le modalità di svolgimento di tale misura alternativa individuando in particolar modo il ventaglio delle attività non retribuite praticabili e da specificare nelle apposite convenzioni stipulate con gli enti interessati [52] .

I vantaggi sono evidenti per i molteplici interlocutori: gli enti con i quali vengono stipulate tali convenzioni possono contare su unità aggiuntive sia pur con orari e attribuzioni limitate; il condannato può, secondo le varie ipotesi, ottenere vari benefici in caso di svolgimento positivo della misura (annullamento della sanzione pecuniaria, restituzione del veicolo eventualmente confiscato, etc.); il sistema giudiziario, da ultimo, ma non per ultimo, realizza quell’azione sociale di “recupero” che pur tra mille difficoltà e contraddizioni, rappresenta una priorità ed un compito preciso.

Tale ultimo aspetto, infatti, è stato opportunamente evidenziato dal Ministero della Giustizia [53] poiché trattandosi di sanzione moderatamente afflittiva priva di effetti stigmatizzanti, segna una evoluzione ulteriore verso la valorizzazione della funzione rieducativa della pena ed apre nuove prospettive allo sviluppo di un articolato sistema sanzionatorio non detentivo.

All’interno delle sanzioni penali non detentive, l’attività non retribuita assume tendenzialmente “una connotazione sempre più autonoma e rilevante come pena di riferimento per dare più concreto contenuto ripartivo all’azione sanzionatoria dello stato” [54] ed al fine di promuoverne la più ampia applicazione, la Circolare in argomento, invita alla costituzione di tavoli di lavoro che coinvolgano tutti i protagonisti nell’attività di diffusione nell’applicazione della sanzione e la stipula di apposite convenzioni tra i Tribunale, gli Uepe e gli Enti locali finalizzate alla concreta esecuzione della stessa.

Ulteriore spinta volta ad implementare il flusso delle attività lavorative extra murarie in favore della popolazione detenuta, è da rinvenirsi nella stipula in data 20 giugno 2012 del Protocollo di intesa con durata triennale tra il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e la Associazione dei comuni d’Italia. I firmatari del protocollo han ritenuto fondamentale promuovere la “cultura del lavoro e del saper fare” per il recupero dei detenuti nella consapevolezza che “ il lavoro riveste un ruolo di assoluta centralità di ogni percorso riabilitativo finalizzato al reinserimento sociale del detenuto ….e le Amministrazioni comunali considerano la sicurezza un bene fondamentale per i propri cittadini e garantire sicurezza significa garantire benessere, qualità della vita e sviluppo per il territorio”[55], anche favorendo lo scambio di buone pratiche. Il Protocollo ha quale obiettivo la realizzazione di un Programma sperimentale di attività [56] il cui andamento viene monitorato dal Comitato paritetico di gestione[57] . E’ previsto, altresì, la attivazione di help desk dedicato ai comuni per il collegamento tra gli istituti penitenziari e gli interlocutori esterni al fine di agevolare l’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro nonchè la promozione di specifici progetti finalizzati all’acquisizione di competenze significative e ben accolte nel mercato del lavoro.

La necessità di elaborare un piano sinergico di azioni congiunte cui partecipino – ognuno per le proprie sfere di competenza – le Amministrazioni Comunali (con riferimento alla ricerca di attività lavorative ) e strutture periferiche dell’Amministrazione penitenziaria (nella individuazione di coloro che possono esser avviati al lavoro di pubblica utilità ) affinchè il lavoro extra murario possa diventare un volano per la realizzazione del mandato costituzionale di cui all’art. 27 Cost. è ulteriormente ribadito anche nella Circolare emessa dal Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria il 20 agosto 2012.

A riscontro della sempre maggiore attenzione per il lavoro extra murario quale momento di sintesi privilegiata per la realizzazione di molteplici e convergenti finalità, vanno menzionate le sempre più numerose e variegate Convenzioni stipulate tra i Tribunali e gli Enti locali. Significativa appare la sottoscrizione a Firenze di un “Protocollo per i lavori di pubblica utilità” [58], risultato della sinergia delle istituzioni a vario titolo coinvolte: autorità giudiziaria, avvocati, forze dell’ordine, enti locali e servizi sociali per l’esecuzione della pena e che ha portato, altresì, alla individuazione di un ufficio presso il Tribunale di Firenze con il compito di orientare le richieste di lavoro di pubblica utilità verso enti ed associazioni convenzionate anche favorendo il costruttivo scambio di informazioni in merito.

Tutte le esperienze al riguardo maturate negli scorsi anni e le ulteriori possibilità introdotte con il decreto “svuota carceri”, lasciano supporre un significativo incremento delle richieste del lavoro di pubblica utilità [59].

Ultima considerazione, a sommesso parere di chi scrive, potrebbe esser formulata con riferimento alla possibilità per gli stessi uffici giudiziari di avvalersi del lavoro extra murario svolto dai detenuti ovvero condannati per reati la cui pena possa esser espiata la modalità alternativa in esame. Non sarebbe peregrino ipotizzare la possibilità di stipulare convenzioni che prevedano l’impiego lavorativo del condannato per la commissione di reati espiabili con le modalità in esame ad es. per la dematerializzazione dei fascicoli ovvero per la catalogazione e l’informatizzazione di atti di archivio[60], attività di cancelleria per le quali si registra nel primo caso un sempre maggiore interesse e nel secondo caso una sempre maggiore e notoria situazione di sofferenza organizzativa.

(Altalex, 15 ottobre 2013. Articolo di Vincenza Esposito)

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[1] Ministro della Giustizia, Cancellieri, alla commemorazione a Palermo della strage di Capaci il 23.05.2013.

[2] Capo dello Stato, Napolitano, ai festeggiamenti del Corpo della Polizia Penitenziaria il 07.06.2013.

[3] Capo dello Stato, vedi nota sopra e, con particolare riferimento alle condizioni lavorative della Polizia Penitenziaria, la lettera circolare del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria – Ufficio del Capo Dipartimento, dott. Ferrara – n. 0230431-2008 “Contrastare il disagio lavorativo del Personale della Polizia Penitenziaria e stimolare le professionalità tramite condivisione, ascolto e solidarietà: linee di intervento”.

[4] Cd. sentenza “Torreggiani e altri contro Italia”, definitiva ad esito del rigetto del ricorso presentato dall’Italia, ha ad oggetto sette ricorsi depositati tra il 2009 e il 2010 da altrettanti detenuti nei penitenziari di Busto Arstizio e Piacenza e vede l’Italia condannata al pagamento ai sette detenuti di 100 mila euro per danni morali ed ha un anno di tempo per rimediare alla mancanza degli standard minimi di vivibilità delle attuali strutture carcerarie. In realtà tale pronuncia non è la prima che condanna l’Italia per il sovraffollamento delle carceri in quanto la prima condanna risale al 2009 ad esito della quale viene messo a punto il primo “piano carceri” che ha previsto la costituzione dei nuovi penitenziari, l’ampliamento di quelli esistenti e il ricorso a pene alternative.

[5] Situazione fotografata a settembre 2011, vedi www.ansa.it e www.larepubblica.it del 03.05.2013.

[6] NEPPI MODONA G., Vecchio e nuovo nella riforma dell’ordinamento penitenziario in Carcere e società a cura di M. Cappelletto e A. Lombroso, Venezia, Marsilio Editori, 1976, pg.68.

[7] L. Ferrajoli, Diritto e Ragione, settima edizione, Laterza, Roma 2002, pg. 204 per le teorie “retributive” della pena, questa è intesa quale esigenza etica della coscienza umana ovvero quale esigenza giuridica in quanto volta alla riaffermazione del diritto (così G. Hegel in lineamenti di filosofia del diritto, Laterza, Roma, 1979, pg. 2)

[8] G. Fiandaca Musco, Diritto Penale, Parte Generale, IV edizione, Zanichelli, Bologna, 2001 per le teorie “utilitariste” la pena con l’efficacia intimidatoria che le è inerente è volta a prevenire la commissione di nuovi reati da parte del medesimo autore ovvero altri soggetti.

[9] La funzione rieducativa della pena, in “L’altro diritto – centro di documentazione su carcere, devianza e marginalità”, www.altrodiritto.unifi.it.

[10] Art. 27 della Costituzione “Le pene …. devono tendere alla rieducazione del condannato “

[11] F. Antolisei, Manuale di diritto penale, parte generale, X edizione, Giuffrè, Milano, 1985, pg. 701.

[12] Gli architetti che hanno progettato il carcere di Sollicciano (FI), uno dei carceri più interessanti dal punto di vista architettonico e per il contesto in cui si è sviluppato coincidendo la progettazione e la realizzazione con la riforma penitenziaria del 1975, hanno recepito l’idea secondo cui il carcere deve rappresentare una continuazione naturale del tessuto urbano dove il detenuto si sarebbe dovuto trovare a suo agio.

[13] Legge 26 luglio 1975, n. 354 “Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione di misure privativa e limitative della libertà “

[14] Art. 15 L. 354/1975, cit.

[15] Art. 80 L. 354/1975, cit.

[16] Vedasi al riguardo anche la sentenza Corte Costituzionale n. 204 del 4 luglio 1974 ove è stato ribadito il diritto del condannato “ a che, verificandosi le condizioni poste dalla norma di diritto sostanziale, il protrarsi della realizzazione della pretesa punitiva venga riesaminato al fine di accertare se in effetti la quantità di pena espiata abbia o meno assolto positivamente il suo fine rieducativo “; in Riv. It. Dir.Proc.Pen., 1976, pg. 262 con nota di M. Pavarini, La Corte costituzionale di fronte al problema penitenziario : un primo approccio in tema di lavoro carcerario.

[17] Art. 6 l.n. 354/1975, cit.

[18] Così L. Castellano ex Direttrice del carcere “umano” di Bollate autrice con Stasio Donatella di “Diritti e Castighi – storie di umanità cancellata in carcere”, il Saggiatore, 2009

[19] “ Chi è in carcere deve avere la possibilità di lavorare o studiare. E’ dimostrato che l’80 %di chi lo fa non ha recidive” ,così il Guardasigilli alla commemorazione della strage di Capaci, cit.

[20] Il Times ha definito tale carcere “ La prigione più umana nel mondo”, poiché all’avanguardia come struttura e trattamento carcerario.

[21] Allo Stato norvegese goni detenuto costa 180 euro al giorno ma, fatte le proporzioni di reddito pro capite, la Norvegia ottiene risultati migliori a costi inferiori rispetto all’Italia; inoltre, a due anni dalla scarcerazione, solo il 20% ritorna a delinquere mentre in Italia la percentuale è del 69% - dati tratti da “ Norvegia, il carcere a cinque stelle” su “Q CODE –Magazine”

[22] L. 24.11.1981 n. 689; L. 10.10.1986 n.663; L. 27.05.1998 n. 165.

[23] Decreto interministeriale n.450 del 12.05.1977; legge cd. Ex Cirielli n.251 del 05.12.2005 ; legge “interventi legislativi in materia di tutela della sicurezza dei cittadini” 26.03.2001 n. 128 ; L. 27.7.2008 n. 125 “misure urgenti in materia di sicurezza pubblica”: legge 15.0.2009 n. 94; D.L. 22.12.2011 n. 211.

[24] D.L. n.78 del 1 luglio 2013 “Disposizioni urgenti in materia di esecuzione della pena” convertito nella L.n.94 del 9 agosto .2013 pubblicata sulla G.U. n. 193 del 19.8.2013.

[25] Così dalla scheda del progetto del decreto legge in argomento.

[26] L. 26.07.1975 n. 354, opportunamente modificato al fine di comprendere anche il delitto di maltrattamento in famiglia commesso in presenza di minori di anni quattordici.

[27] in tal modo per il per il Ministro si è andato a toccare uno degli aspetti normativi del fenomeno delle c.d. “porte girevoli”, per cui il detenuto entrava in carcere, ci stava pochi giorni e poi veniva mandato ai domiciliari, innescando un fenomeno che, sottolinea il Guardasigilli, porta “un movimento di 20 – 30 mila persone che vanno e vengono dalle carceri”.

[28] L. 26 luglio 1975 n. 354 cit. art. 21, co 4 ter “ i detenuti e gli internati di norma possono essere assegnati a prestare la propria attività a titolo volontario e gratuito, tenendo conto delle loro specifiche professionalità ed attitudini lavorative, nell’esecuzione di progetti di pubblica utilità in favore della collettività da svolgersi presso lo Stato, le Regioni, le Province, i Comuni, le comunità montane, le unioni di comuni, le aziende sanitarie o presso enti o organizzazioni anche internazionali, di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato. … possono, inoltre, esser assegnati a prestare la propria attività a sostegno delle famiglie delle vittime dei reati da loro commessi … “.

[29] L. n. 193/2000 del 22 giugno 2000 pubblicata sulla G. U. n. 162 del 13 luglio 2000.

[30]“ Molti carceri storici sono monumenti del passato, ma non sono più adeguati, bisogna cambiarli per dare ai detenuti spazi più adeguati” così il Guardasigilli alla commemorazione della strage di Capaci, cit.

[31] Ignazio La Russa, Presidente di Fratelli d’Italia, riportato in Cronaca di Milano, cit.

[32] Associazione “Antigone” su www.giornalettismo.com del 07.08.2013.

[33] Rita Bernardini dei Radicali, riportato in Cronaca di Milano, approfondimenti e cronaca, del 23.08.2013.

[34] Così M5S riportato in www.giornalettismo.com, cit.

[35] Così M5S riportato in www.giornalettismo.com, cit.

[36] Così Sarti Roberto – capogruppo Lega Nord , riportato in www.alessandrianews.it – lettere al Direttore secondo il quale “ il problema del sovraffollamento delle carceri è un problema reale e grave che merita un’attenzione…. Occorre prima di tutto costruire nuove carceri, stipulare accordi bilaterali con i paesi nord africani per permettere ai detenuti extracomunitari ( e aggiungo comunitari) di scontare la pena nel loro paese di origine. Infatti la percentuale di detenuti stranieri a livello nazionale si aggira sul 40% …. Si tratta in pratica di circa 23 mila persone che se scontassero la pena nel loro paese di origine allieverebbero di moltissimo il problema del sovraffollamento delle carceri…”

[37] www.globalprojetc.info.it 28.7.2011 Elia De Caro avvocato del Foro di Bologna, Associazione Antigone Emilia Romagna Osservatorio sulle condizioni di detenzione. “Tale decreto, che per le previsioni Ministero della Giustizia avrebbe riguardato circa 8000 detenuti, ha completamente fallito il suo obiettivo dimostrandosi misura di mera propaganda: ad oggi a più di un anno dalla sua entrata in vigore i detenuti usciti ex L.199/2010 (legge “sfolla carceri”) - dati al 31 maggio 2011 - sono 2.402 ( il 3,5% della popolazione detenuta all'entrata in vigore della Legge) ….. Recentemente vi sono state diverse iniziative sulla situazione delle carceri italiane, dallo sciopero della fame e della sete di Pannella a quello promulgato dalla Giunta dell'Unione camere penali Italiane, l'organismo degli avvocati penalisti, che con delibera del luglio 2011 ha attivato lo sciopero della fame a scorrimento tra i suoi iscritti fin tanto che il Governo non assuma iniziative per migliorare tale improcrastinabile situazione .Anche Ristretti Orizzonti e Antigone hanno recentemente assunto una campagna di denuncia in tale senso a cui hanno aderito la CGIL, l'Unione Camere penali Italiane, l'Arci, il comitato dei garanti delle persone private della libertà personale e la stessa magistratura, o meglio Magistratura Democratica. Con tale iniziativa (Sovraffollamento: che fare? Associazioni, Avvocati, Magistrati denunciano l'illegalità delle carceri ) si richiede un mutamento della situazione previo l'abrogazione della legge ex Cirielli, la previsione di sanzioni alternative alla detenzione e/o extrapenali, la fissazione di limiti alla custodia cautelare che deve ritornare ad essere misura di extrema ratio, la modifica della legge Fini-Giovanardi sugli stupefacenti, la modifica della legge Bossi – Fini sull'immigrazione , ( le ultime due insieme alla Cirielli definite leggi criminogene) e non solo attraverso propagandistiche soluzioni quali la Legge Alfano e l'edilizia penitenziaria, ossia la costruzione di nuovi reparti e nuove carceri”.

[38] Legge del 26.11.2010 n.199 pubblicata su G.U. 01.12.2010 n.281, La legge ha una durata transitoria con validità "fino alla completa attuazione del piano straordinario penitenziario nonché in attesa della riforma della disciplina delle misure alternative alla detenzione e, comunque, non oltre il 31 dicembre 2013".

[39] Art.1 legge ult. cit va detto che al settembre 2009, su 64.595 detenuti, circa il 32% (quasi 21.000 unità) scontava pene detentive non superiori ad un anno.

[40] D.L. 22 dicembre 2011 n. 211 convertito in legge n. 9 del 17.02.2012 in G.U. del 20.02.2012 , con particolare riferimento alle c.d. camere di sicurezza ed alle ore a disposizione del pm per convalidare l’arresto.

[41] Così riportato in www.sostenitori.info del 08 agosto 2013 quotidiano on line dei sostenitori forze dell’ordine.

[42] Così SIAP – sindacato Forze di Polizia – in www.sostenitori.info, cit.

[43] In www.cronacamilano.it, approfondimenti e cronaca.

[44] Così Donatella Ferranti (Pd),Presidente della Commissione Giustizia della Camera e relatrice del provvedimento, in www.ilsole24ore.com del 06.08.2013

[45] Raccomandazione del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa del 1202.1987 relativa alle regole penitenziarie europee, secondo cui il lavoro carcerario dovrebbe per organizzazione e regole giuridiche, avvicinarsi il più possibile alle condizioni del lavoro “libero”.

[46] Con la sentenza n. 179 del 2013, la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 54, comma 3, del decreto legislativo 28 Agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468) nella parte in cui non prevede la possibilità per il condannato, qualora lo richieda al giudice, di svolgere il lavoro di pubblica utilità al di fuori della Provincia di residenza del condannato.

La norma dell'art. 54, comma 3, del d. lgs. 274 del 2000, è infine in contrasto con l'art. 27 Cost., terzo comma, in quanto il vincolo territoriale “impedirebbe” lo svolgimento della prestazione paradetentiva, intesa quale strumento privilegiato per “il perseguimento degli obiettivi di rieducazione e risocializzazione del condannato”. Secondo il rimettente, la ratio della norma impugnata starebbe “nell'opportunità di consentire l'esecuzione della pena nel luogo che costituisce l'ordinario centro di affari ed interessi del reo”, ma tale logica viene agevolmente superata nel momento in cui la volontà di espiare la pena in altro luogo sia sorretta da ragioni di tutela di interessi costituzionalmente rilevanti.

[47] D.lgs. 285/1992 , come modificato dalla L. 102/2006, art. 186, co, 9bis e 187 comma 8 bis prevede che la pena detentiva o pecuniaria possa essere sostituita con quella del lavoro di pubblica utilità, consistente nella prestazione di un'attività non retribuita a favore della collettività da svolgere, in via prioritaria, nel campo della sicurezza e dell'educazione stradale presso lo Stato, le Regioni, le Province, i Comuni o presso enti o organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato, o presso i centri specializzati di lotta alle dipendenze . Il buon esito della misura comporta l'estinzione del reato, il dimezzamento del periodo di sospensione della patente di guida e la revoca della confisca obbligatoria del veicolo condotto dal reo al momento del fatto, se di sua proprietà.

[48] "Modifiche al codice penale e alle relative disposizioni di coordinamento e transitorie in materia di sospensione condizionale della pena e di termini per la riabilitazione del condannato" pub. Gazzetta Ufficiale n. 136 del 12 giugno 2004, art. 2 nel modificare l’art. 165 del codice penale, ha consentito di subordinare la sospensione condizionale della pena alla prestazione di attività non retribuita a favore della collettività, a tal fine dichiarando applicabili gli articoli 44 e 54 (commi 2, 3, 4 e 6) del D.L.vo 274 del 2000 e le relative convenzioni.

[49] Convertito in L n. 205/1993, prevede la possibilità per il giudice di condannare al lavoro di pubblica utilità, quale pena accessoria, l'autore del delitto di costituzione di un'organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente tra i propri scopi l'incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi (art. 3 l. 654 del 1975) e di istigazione, tentativo, commissione o partecipazione a fatti di genocidio (l. 962 del 1967).

[50] “ Interventi nel settore del giuoco e delle scommesse clandestine e tutela della correttezza nello svolgimento di manifestazioni sportive” stabilisce che con la sentenza di condanna per i reati di cui al comma 6 il giudice può disporre la pena accessoria di cui all’art 1 comma 1-bis, lettera a), del decreto legge 122 del 1993 convertito, con modificazioni, dalla legge 205 del 1993.

[51] Decreto Ministeriale del 26 marzo 2001, Art. 1. D.M. cit. , Il lavoro di pubblica utilità, consistente nell’attività non retribuita a favore della collettività da svolgere presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni o presso enti o organizzazioni di assistenza sociale o di volontariato, a norma dell’art. 54, comma 6, del decreto legislativo 28 agosto 2000, n° 274, ha ad oggetto:

prestazioni di lavoro a favore di organizzazioni di assistenza sociale o volontariato operanti, in particolare, nei confronti di tossicodipendenti, persone affette da infezione da HIV, portatori di handicap, malati, anziani, minori, ex-detenuti o extracomunitari;
prestazioni di lavoro per finalità di protezione civile, anche mediante soccorso alla popolazione in caso di calamità naturali, di tutela del patrimonio ambientale e culturale, ivi compresa la collaborazione ad opere di prevenzione incendi, di salvaguardia del patrimonio boschivo e forestale o di particolari produzioni agricole, di recupero del demanio marittimo e di custodia di musei, gallerie o pinacoteche;
prestazioni di lavoro in opere di tutela della flora e della fauna e di prevenzione del randagismo degli animali;
prestazioni di lavoro nella manutenzione e nel decoro di ospedali e case di cura o di beni del demanio e del patrimonio pubblico ivi compresi giardini, ville e parchi, con esclusione di immobili utilizzati dalle Forze armate o dalle Forze di polizia;
altre prestazioni di lavoro di pubblica utilità pertinenti la specifica professionalità del condannato.
[52] D.M. cit. Art. 2 – Convenzioni -

L’attività non retribuita in favore della collettività è svolta sulla base di convenzioni da stipulare con il Ministero della giustizia o, su delega di quest’ultimo, con il Presidente del tribunale, nell’ambito e a favore delle strutture esistenti in seno alle amministrazioni, agli enti o alle organizzazioni indicati nell’art. 1, comma 1. Le convenzioni possono essere stipulate anche da amministrazioni centrali dello Stato con effetto per i rispettivi uffici periferici.
Nelle convenzioni sono indicate specificamente le attività in cui può consistere il lavoro di pubblica utilità e vengono individuati i soggetti incaricati, presso le amministrazioni, gli enti o le organizzazioni interessati, di coordinare la prestazione lavorativa del condannato e di impartire a quest’ultimo le relative istruzioni.
Nelle convenzioni sono altresì individuate le modalità di copertura assicurativa del condannato contro gli infortuni e le malattie professionali nonché riguardo alla responsabilità civile verso i terzi, anche mediante polizze collettive. I relativi oneri sono posti a carico delle amministrazioni, delle organizzazioni o degli enti interessati.
[53] Circolare 11 Aprile 2011 DAP n.0140397 “ … l’istituto in oggetto … guarda al lavoro di pubblica utilità coma ad una misura che … appare portatrice di contenuti molto positivi per il tipo di attività socialmente rilevanti in cui esse si concreta e può costituire una valida occasione per assicurare una idoena forma di riparazione in favore della collettività “

[54] Circolare ult. Cit.

[55] Premessa del Protocollo di intesa

[56] Art. 2 del Protocollo, ult . cit.

[57] Art.3 del Protocollo, ult.cit.

[58] In data 24 gennaio 2013 , in http://www.magistraturademocratica.it/ del 24 gennaio 2013

[59] All’agosto u.s. risultano 4214 le persone che hanno svolto lavori di pubblica utilità attraverso l’ UEPE (Ufficio penale esecuzione esterna del ministero della Giustizia ); la prospettiva di un ulteriore incremento delle richieste con l’entrata in vigore del decreto svuota carceri crea allarme negli Uffici esecuzione penale esterna atteso le risicate risorse umane e finanziarie cui questi dispongono, in http://www.ilredattoresociale.it/ del 08.08.2013.

[60] Vedasi il caso della Procura della Repubblica di Cagliari che, nell’elaborazione del proprio Bilancio Sociale, ha previsto tale progetto sperimentale ed unico in Italia che vede quali ulteriori interlocutori la Regione Autonoma della Sardegna, il Dipartimento penitenziario, la cooperativa La Collina.